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I SOGNI POSSONO CAMBIARE, CHI LI INSEGUE NO

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Il dolore chiude gli occhi, serra la bocca, secca la gola. La paura esonda tutto. Lacrime acide come scorza di limone trapassano gli occhi. Urla storpiate dalla rabbia violentano le corde vocali. La saliva sgorga come un fiume in piena. Il mondo intorno a me cambia colore. Solo chi ha subito un infortunio può capirmi. Una cartolina sbiadita da spedire al ragazzo che sognava di scendere in campo e spaccare tutto un’altra volta.

Ti diranno che non è successo nulla. Che tutto tornerà come prima. Tu non credergli. Farai fatica a distinguere le gocce di sudore dalla lacrime. Non arriverà niente in cambio di niente. C’è sempre un prezzo da pagare. Tempo, soldi, scuola, lavoro. Ma imparerai a convivere con i tuoi limiti. Giocarci, sfidarli, batterli. Sarà un’esperienza unica, una lezione di vita che ricorderà a quel ragazzo che i sogni possono cambiare, ma chi li insegue no.

DIETRO OGNI CALCIO DI RIGORE

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(Portiere) Ti ho osservato dall’istante in cui l’arbitro ha fischiato rigore. Hai paura. Ti si legge in faccia, smettila di sforzarti. Lasciati andare. Non fa bene tenersi tutto dentro, poi ti agiti e finisce male. Ti vedo, ti studio, ti sfido.

(Rigorista) Abbassa lo sguardo, fallo subito. Se aspetti che sia io cedere hai sbagliato di grosso. Non mi fai paura, tra pochi secondi ti svegli dal tuo incubo. Devi solo piegarti e raccogliere la palla dalla porta. Ti vedo, ti studio, ti sfido.

(Portiere) E’ destro, per tutta la partita non l’ha mai nemmeno sfiorata col piede debole. Probabilmente non ci scende nemmeno dal letto. Lo apre, me lo sento.

(Rigorista) Oggi non ho dubbi. Ormai l’ho capito il segreto, partire con un’idea e non cambiarla per nessuna ragione al mondo. L’ultima volta sono stato perfetto. Continuo così, lo incrocio.

(Portiere) Ecco lo sapevo. La solita storia. Ha appena iniziato la rincorsa e il bacino è già impostato per incrociarlo. Dannazione. Ora che faccio? E se sta bluffando? No, sono io a comandare il gioco. Vado a sinistra, deciso.

(Rigorista) Non pensare a nulla, concentrati. Hai preso una decisione, non metterti in discussione. Niente, è inutile. Ho fatto mezzo metro e sto già per cambiare idea. Magari si è informato su come ho calciato l’ultimo, sa che incrocio sempre. Mi resta una frazione di secondo, dai muoviti. Basta ho deciso.

 

Dietro ogni calcio di rigore c’è una storia meravigliosa di strategia, tensione, emozione.

OGNI SINGOLO FOTTUTO DETTAGLIO

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Chiudo gli occhi, manca sempre meno. La semifinale è lì.

Ormai l’ho capito, io vivo per questo. Dio solo sa quanto voglia tornare al mio posto, lì in mezzo al campo.

Controllo l’orologio, ci siamo.

Strappo le cuffie dalle orecchie, spengo il telefono. Voglio ascoltare i miei compagni, non perdermi un istante della preparazione. Ogni singolo fottuto dettaglio farà la differenza quando usciremo da quella porta.

Rompere il fiato. Non penso ad altro, come una strana ossessione che mi perseguita partita dopo partita. Come un Lucano in mezzo alla briscola dei vecchietti al bar del campo. So cosa si aspettano da me, non posso deluderli. Resto fino all’ultimo secondo possibile, un allungo in più. Un altro, ne ho bisogno, conosco i miei limiti.

Raccoglo tutte le energie.

Penso alla fatica che ho fatto per essere qui.

Cancello ogni timore.

Ora è il momento.

L’urlo del mister, adesso basta. Si comincia.

LA FORZA DI RICOMINCIARE

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Esprimerlo a caldo è terribilmente difficile. Fa male, verrebbe da prendere e buttare via tutto.

Provate voi ad asciugare le lacrime dei vostri amici.

Provate voi a racimolare i cocci e ripartire.

Adesso ci sono gli sguardi spenti dei compagni nello spogliatoio. Ci sono venti ragazzi a cui è stato distrutto un sogno.

Ma il calcio è così. Bisogna avere la forza di raccogliere il pallone in fondo alla rete e cominciare da zero.

Perché ogni vittoria si costruisce sulle macerie di una bruciante sconfitta.

Adesso sembrano parole vuote.

Il tempo saprà curare le ferite.

NON ANCORA

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Per chi ha perso, sputando sangue fino all'ultimo secondo.

Per chi ha visto svanire nel nulla le energie al fischio finale.

Per chi ha deciso di gettare la spugna.

Non disperate, la notte sembrerà infinita ma passerà.

Anche se farà male.

Adesso sembrano parole vuote, ma non permettete a nessuno di ballare sulla vostra tomba.

Siamo troppo abituati a lottare per alzare bandiera bianca, siamo vaccinati al dolore e alle delusioni.

Guardate dentro voi stessi. Non è finita. Non ancora.

NOI SIAMO NOI

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Non servono parole.

Siamo fratelli, atomi impazziti che corrono aggrappati ai loro sogni.

Siamo anime dannate dalla stessa ammaliante maledizione.

Noi siamo noi. E provate soltanto a mettervi in mezzo.

Condividiamo tutto, cresciamo insieme, sbagliamo uniti. Sempre.

Siamo la famiglia più numerosa del mondo, la scienza dice il contrario ma chi se ne frega. Per quello che sento, quello che provo con loro, potrei chiedere il test del DNA.

Senti le spalle coperte, abbandoni la paura di rischiare, lasci indietro la vergogna di raccontarti. Diventi uomo senza accorgertene. Il tempo ci minaccia, ma quando siamo insieme nulla ci spaventa, tutto si risolve.

Anche la sconfitta che imbratta le guance di sudore e di lacrime, che distrugge le sicurezze, spazza via i sacrifici e si prende gioco di noi. Ci mette alla prova, tenta di sfibrare la nostra amicizia.

Un abbraccio. Può davvero bastare così poco? Non servono parole, siamo fratelli.

Noi siamo noi. E provate soltanto a mettervi in mezzo.

ESSERE FELICE

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Non ho mai pensato di essere forte o scarso.
Non ho mai ambito ad essere il migliore, né mi sono disperato quando le cose non andavano nel verso giusto.

 

Ho sempre e solo provato ad essere felice.

CHIEDIMI SE SONO FELICE

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Chiedimi se sono felice.

Fallo quando torno dal campo con il borsone che mi spezza la schiena vessato dal peso dei miei sogni. Fallo quando l’adrenalina manda in cortocircuito il mio sistema nervoso e tiene in ostaggio il sonno la notte prima della partita. Fallo quando varco la porta del mio luogo nel mondo, lo spogliatoio.

Non essere gelosa. Tu fallo e basta. È in questi frammenti della mia vita, che posso urlare al mondo che sì, io sono davvero felice.

SAN VALENTINO

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Mi chiedi di spiegarti perché. Continui a insistere dicendo con orgoglio che non capisci. Drizzi la cresta sputando banalità e accusandomi di sprecare il mio tempo dietro una palla. Anzi, “22 energumeni che corrono dietro a una stupida palla”, quanto ti piace questa. Perché? Vuoi davvero saperlo?

Tendimi la mano e ascolta il battito del mio cuore quando te ne parlo. Quando provo a raccontarti quello che mi esplode dentro. Lo senti? Sparisce tutto per me, è la luce oltre il filo spinato, è la carezza che asciuga la lacrima impregnata di sudore, è un amico che ti aiuta a rialzarti quando gli altri neanche si erano accorti che eri caduto. Aumenta, corre all’impazzata. Non so controllarlo. Mi riporta bambino, innocente e ingenuo. Senza pensieri, senza cercare di capirsi, leggero. Ecco, mi fa sentire leggero. Te ne parlo e trattengo le lacrime che sento pulsare da chi sa quale scrigno nascosto dietro i miei occhi. Sono follemente innamorato del calcio. Lo senti?

UN GUERRIERO DA SOLO CONTRO IL MONDO INTERO

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Ho passato tutta la vita ad immaginare il mio futuro. E per quanto mi sforzassi di pensarlo diversamente, la mente cominciava a rotolare di fianco ad un pallone, schivando gli ostacoli del destino, superando avversari e sfidando intemperie. Giorno e notte, notte e giorno. Seduto sul pullman, il mio sguardo si perdeva distratto tra le rughe del marciapiede intento a scovare una lattina, una cartaccia arrotolata, un tappo di bottiglia. Ed ecco quel formicolio alle gambe, quella voglia irrefrenabile di prendere a calci ogni cosa, di correre fino a sentire pulsare la gola.

Prima di andare a dormire le immagini più belle mi sfrecciavano davanti al viso, impossibili da catturare. Erano i miei sogni che si materializzavano: una scivolata a spazzare l’area a pochi secondi dalla fine, quando il fango si accumula sui pantaloncini e sul cuore, rendendo tutto così maledettamente pesante; un gol all’ultima partita di campionato seguito dalla corsa sfrenata tra le braccia dei compagni; un saluto agli amici di una vita nello spogliatoio, le quattro mura che rinchiudono l’essenza di chi ama il calcio veramente, anni luce dai contratti milionari e dalle ville con piscina e ragazze da manicomio.

Ora non potrò fare altro che assistere alle battaglie dei miei compagni seduto sui gradoni del nostro campo di periferia. Forse loro non lo sanno, ma ci sarò anche io là in mezzo. Urlerò parole di incitamento mentre mi morderò le labbra bestemmiando contro il fato. Io meritavo di essere là dentro. Maledizione.

Ho paura di non poter più tornare a fare ciò mi ha sempre reso libero: sfidare i miei limiti inseguendo un pallone. Il calcio mi sta facendo male, ma io non mollo. Io so dove voglio arrivare. Le migliaia di ore che mi dividono dal mio sogno più intimo e segreto.

Ascolto chi mi dice che non ce la farò, che è tutto troppo complicato, che farei meglio a pensare ad altro. A scordarmi di quel pallone che continua a rotolare di fronte a me anche quando non sono in campo. Ho imparato a godere della vittoria perché ho perso molte volte. Ho macinato chilometri e speso tonnellate di energie a difendere ed attaccare, a proteggere i miei compagni con le buone e con le cattive. E’ questo che farà sempre la differenza: sarò pronto a rialzarmi ogni giorno, quando la vita mi mostrerà il ghigno più spaventoso. Destinato ad essere un guerriero. Da solo contro il mondo intero.

MA CHI TE L'HA FATTO FARE?

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Eccoci.

Come passano veloci 30 anni.

Quando ho iniziato a 5 anni, non potevo sapere che questo sport mi avrebbe fatto conoscere quelli che ad oggi sono ancora gli amici di una vita. Come potevo sapere che stare in uno spogliatoio mi avrebbe insegnato come stare al mondo ancora prima di poterlo esplorare?

Non ricordo esattamente quando mi sono innamorato del pallone ma una cosa che so è che questo sport mi ha condizionato la vita: ho pianto, riso, sofferto e gioito per il pallone.

Ho provato a non dormire per il pallone o alzarmi 5 minuti prima che suonasse la sveglia per il pallone.

Provare a spiegarlo a chi non ha questa passione è sempre stato difficile, quante volte in 30 anni ho sentito: «Ma chi te lo fa fare», «Ma cosa vuoi che sia se salti un allenamento», «Guarda che non giochi in Serie A».

Anche se non gioco in Serie A, andare al campo mi ha reso felice. È stato come entrare in una macchina del tempo, perché quando fai la borsa per andare a giocare torni bambino e non ti accorgi del tempo che passa. Come se tutto per due ore si fermasse.

Accadrà sempre la solita magia, fino a quando arriverà l'ultima sera e lì svuotandola per l’ultima volta non si tornerà più indietro.

Da quel momento avranno sempre meno importanza i ricordi delle vittorie, delle sconfitte o dei "nemici" storici, non mi interesseranno più le categorie o le classifiche.

Lentamente svaniranno tutte le corse e i sacrifici per non far tardi all’allenamento o il tempo speso in ferie per arrivare in forma alla preparazione.

Quello che invece per sempre rimarrà saranno le risate e gli scherzi negli spogliatoi, i tragitti in macchina con i compagni e la musica a manetta, le docce senza fine per parlare con gli amici, gli abbracci dopo un gol e le partitelle all’ultimo sangue.

I compagni di squadra sono sempre stati sacri per me, il gruppo prima di tutto.

Di ognuno di loro, anche di quelli dei primi anni, ho un ricordo che mi strappa un sorriso perché compagni di squadra lo si è per sempre.

Fortunatamente sono nato scarso e non l’ho mai fatto per soldi, ho passato la mia vita nei dilettanti e ho giocato solo per questo, per avere un giorno questi ricordi.

Si.

Ora so cosa rispondere a chi mi chiederà «Ma chi te l’ha fatto fare?».

E' NATALE

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È Natale.


Non ti sei svegliato presto ma sei subito corso a controllare: no, niente regalo per te sotto l'albero.
Ma fortunatamente hai il tuo compagno che dona i suoi assist meravigliosi tutto l'anno.


Tu hai lui, per questo non hai bisogno di Babbo Natale.

NON SONO NORMALE. MA SONO VIVO

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Non sono normale.

Come potrei definirmi normale. Ho scelto di lanciarmi nel fango, di buttarmi su campi di marmo in cui l'erba è ormai un lontano ricordo, di sfidare pallonate che fanno bruciare la pelle. E fidatevi, quando il cuoio ti schiaffeggia fa davvero male.

Ma ho imparato a non avere più paura, o perlomeno ad averne meno, a combatterla con coraggio. Ho imparato che il timore di sbagliare ti farà sicuramente sbagliare, perciò preoccuparsi è da idioti. Ho imparato che bisogna sempre provare a volare un centimetro più in alto, a saltare un centimetro più in là, ad usare la voce, i muscoli, tutto ciò che si ha a disposizione. Quella è la forza che senti crescere nel petto e che ti fa sentire il fuoco anche quando fuori piove e il gelo pietrifica le ossa.

Ho deciso che finché avrò sangue nelle vene mi divertirò a tuffarmi e a farmi prendere a pallonate.

Sembra stupido, ma non capirete mai come mi sento quando mi schiero tra i pali e allaccio i guantoni.

Forse sono matto.

Ma sono vivo.

I LIMITI ESISTONO SOLO NELLA TESTA

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Oggi sono arrivato prima dei miei compagni al campo.

Abbiamo una partita importante e in questi casi è meglio non rischiare, ho bisogno di trovare la concentrazione delle grandi occasioni, voglio curare i particolari e respirare a grandi boccate l’aria fredda dei momenti prima della partita. Solo a me sembra più pesante rispetto agli altri giorni?

L'erba bagnata del terreno di gioco scintilla delle gocce che sono cadute fino a pochi minuti fa. Il fango è lì a guardarmi, sento già quel meraviglioso dolore ai polpacci. Controllo spaventato dentro il borsone, forse ho dimenticato i tacchetti alti e le rondelle. Ci sono, sospiro di sollievo. Oggi si gioca con i trampoli, non vorrei passare la notte in preda agli incubi per essere scivolato sulla marcatura decisiva.

Rimango qualche secondo con i piedi vicini alla linea di fondo campo, fresca di gesso. Controllo la distanza dell’area di rigore dal centrocampo e dalla linea del fallo laterale. Ogni tanto schiaccio il terreno con il pollice per controllare quanto affonda. Si, oggi devo metter su i tacchetti da battaglia. Scruto le bandierine e comincio a passeggiare nervoso. Il dischetto del rigore è sconnesso. Poco male, non sarà compito mio calciare.

Giro la testa, i primi compagni cominciano ad arrivare. Spero che anche loro siano innamorati del calcio come lo sono io. Perché oggi è il momento di dimostrarlo.

Poche chiacchiere, si gioca.

I limiti esistono solo nella testa. Crederci sempre. Questo è il nostro credo.

ECCO COSA SIAMO

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Quello che si fa la doccia per primo.
Quello che non ha mai lo shampoo.
Quello che ci mette mezz'ora più degli altri.
Quello che ti dà i consigli sulle partite sicure da giocare per sbancare.
Quello che si dimentica di portare le paste.
Quello che perde la partitella ed è incazzato nero.
Quello che la vince e fa lo splendido.
Quello che scherza su tutto.
Quello che è serio e taciturno.
Tanti, tutti diversi ma tutti così simili quando c'è da allacciarsi gli scarpini, infilarsi i parastinchi e scendere in campo.


Ecco cosa siamo.

UN RAPPORTO CHE VA OLTRE L'AMICIZIA

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Si può essere compagni di squadra per anni o per pochissimo tempo. Ma il rapporto che si costruisce va oltre l'amicizia. Si scolpiscono i ricordi nella memoria, si impara a dividere la fatica, la felicità e il dolore della delusione, si condividono esperienze che fanno spuntare il sorriso.
È un legame eterno che non sbiadisce a distanza di anni.
Fidatevi, è proprio così.

IL MOTORE CHE MUOVE TUTTO

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Potete contare i chilometri percorsi, perdervi nelle statistiche di chi ha scelto di vivere in mezzo al campo di battaglia.

Ma resterebbero numeri, privi del vero significato che vorrei farvi comprendere. Numeri vuoti, di quelli che dopo qualche giorno si dimenticano.

Provate invece ad immaginare quanta fatica ci sia dietro ogni gesto del centrocampista. Ad ogni pallone perso dal compagno corrisponde una corsa in più per metterci una pezza. In silenzio, con coraggio. Senza pretendere particolari gratificazioni.

Il centrocampista è generosità e polmoni, certo. Ma è profonda concentrazione, inventiva e intelligenza. Sempre. Il motore che muove tutto. Il cuore.

Perché si può essere belli esteticamente, ma se il cuore si ferma tutto è finito.

Allora viva il ruolo più faticoso e gratificante del calcio, corazza di chi non ha paura e non smetterà mai di correre. Per inseguire un pallone, l'avversario. Oppure un sogno grandissimo.

TROVATELO VOI

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Trovatelo voi un posto migliore di questo.

Sporco, brutto, maleodorante. Con muri graffiati e scrostati, gli unici testimoni delle parole che ci diciamo prima di scendere in campo o dopo allenamenti sfiancanti. Guardate bene queste panchine.

Sappiamo che già state scegliendo il vostro posto preferito, è un comportamento incondizionato che ci appartiene. Di fianco ai compagni con i quali vogliamo trascorrere le ore più preziose della vita. Proprio quelli che a volte ci entrano sulle caviglie, ma che sicuramente ci sono entrati nel cuore.

Per sempre.

ED E' IN QUEL MOMENTO CHE DOVREMO RISPONDERE PRESENTE

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Si è preso il nostro cuore quando eravamo piccoli, obbligandoci a sognare talmente forte da farci piangere.

Abbiamo sempre misurato la vita una scivolata alla volta, con la speranza di aggiungere alla nostra collezione un nuovo tatuaggio di carne e sangue da sfoggiare con orgoglio, di quelli che si curano con l’acqua della prima borraccia trovata a bordo campo. Non è facile, ma è straordinario. Con la testa fasciata e le tempie che pulsano per la foga di arrivare per primi, spazzando via pallone e paure. Con poche, pochissime idee. Ma sempre chiarissime.

Costretti a vivere nel limbo tra errore e virtù, a denti stretti, seguendo con gli occhi chiusi e il cuore spalancato la nostra unica vocazione: difendere come se ogni occasione fosse la più importante. Rappresentiamo la forza del gruppo che quando esaurisce le energie si volta indietro sperando di trovare il solito muro che resiste alle intemperie. Ed è in quel preciso momento che dovremo rispondere presente.

Difendere è un’arte, è una promessa di fedeltà che non conosce fatica e giustificazioni

CI CHIAMANO PRIVILEGIATI

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Ci chiamano privilegiati.
Ma non sanno dei panini mangiati al volo in macchina.
Non sanno delle ore di studio dopo essere tornati a casa distrutti dall'allenamento.
Non sanno delle rinunce del sabato sera.
Non sanno del sacrificio rovesciato in campo senza alcuna certezza in cambio.
Privilegiati.
Forse folli.
Sicuramente innamorati.

SARA' SEMPRE LI'

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Quante volte si può avere paura nella vita?

Forse in quelle rare occasioni che passano davanti agli occhi, quelle occasioni che vanno prese al volo. Come quando arriva il pallone dentro l'area e tutti abbiamo bisogno del compagno che spazzi via tutto, per cancellare ogni timore. Ci voltiamo indietro sapendo che sarà sempre lì a coprirci le spalle.

Il difensore centrale vive per questo. Si asciuga il sudore e controlla se attorno a lui tutti stiano facendo il proprio dovere, consapevole del fatto che un solo errore possa essere fatale. Ancora un colpo di testa, ancora un contrasto, ancora un duello vinto con la forza che nasce dalla volontà di non essere secondo a nessuno. Il primo ad esultare dopo il gol dell'attaccante, l'ultimo ad asciugare le lacrime dei compagni quando si esce dal campo sconfitti. Perché il coraggio si misura dai gesti, non dalle vittorie.

LA PANCHINA

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La panchina è solo l'inizio.

Puoi sprofondare inesorabilmente.

Puoi risorgere sputando sangue.

La scelta è tua.

ADESSO BASTA. SI COMINCIA.

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Chiudo gli occhi, manca sempre meno. Ormai l’ho capito, io vivo per questo. Dio solo sa quanto voglia tornare al mio posto, lì in mezzo al campo.

Controllo l’orologio, ci siamo. Strappo le cuffie dalle orecchie, spengo il telefono. Voglio ascoltare i miei compagni, non perdermi un istante della preparazione. Ogni singolo fottuto dettaglio farà la differenza quando usciremo da quella porta.

Rompere il fiato. Non penso ad altro, come una strana ossessione che mi perseguita partita dopo partita. Come un Lucano in mezzo alla briscola dei vecchietti al bar del campo. So cosa si aspettano da me, non posso deluderli. Resto fino all’ultimo secondo possibile, un allungo in più. Un altro, ne ho bisogno, conosco i miei limiti.

L’urlo del mister, adesso basta. Si comincia.

CAMPIONATO CSI OPEN A 18/19

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E' tutta l'estate che aspetti questo giorno.

A maggio non vedi l'ora di staccare, di salutare tutti e allontanarti da qualsiasi cosa sia riconducibile ad un campo ed un pallone.

Sei stanco, logoro, senti quel solito fastidio alla caviglia che da anni ti tormenta. Il pensiero di tornare a fine agosto, col caldo cocente, a fare i giri di campo, i test di Cooper... ti fa venire persino l'ansia.

Eppure quando finalmente sei disteso sul bagnasciuga, ci pensi e ripensi.

Scrivi nel gruppo di Whatsapp di squadra. Carichi i compagni in vista della prossima stagione.

La ragazza ti chiede a mezza bocca se è il caso di lasciar perdere quest'anno...

I tuoi ti ricordano sempre quel brutto infortunio al ginocchio di anni fa.

Ma niente, tu non li ascolti. Non vorresti smettere, mai.

Continui a pensarci. Al mare, in piscina, all'aperitivo con gli amici, davanti ad una pizza, al momento della sambuca.

Non vedi l'ora di ricominciare a correre, sudare, lottare con e per i tuoi compagni. Vuoi dare il buon esempio perché è una vita che giochi a calcio. Al diavolo il buon esempio, in realtà sai benissimo che lo fai soprattutto per te. Non vorresti mai fare a meno del pallone.

E' tutta l'estate che aspetti questo giorno. E' tutta l'estate che aspetti il ritorno del tuo campionato.

COSA TI SPINGE OGNI ANNO AD INIZIARE UNA NUOVA STAGIONE

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Cosa ti spinge ogni anno ad iniziare una nuova stagione?

"C'hai n'età...ancora giochi?"...ti senti dire dalla gente...

"Non stiamo mai insieme" ti dice la tua ragazza...

"Meglio il calcetto"...ti dicono gli amici...

"Pensa al lavoro"...ti dicono i tuoi genitori....

Ci pensi e sorridi.: cosa sanno loro di cosa vuol dire il calcio per te?

Che ne sanno della tensione che la sera prima non ti fa dormire?

Di quando a fine aprile cominci a sentire il profumo di primavera... e di playoff.

Di tutte le partite che hai giocato da infortunato.

Di quello che provi quando sei il primo ad abbracciare chi ha segnato e subito dopo vieni sommerso da tutta la squadra compresa la panchina...

Di come trattieni il fiato quando il Mister annuncia la formazione

Di cosa ti passa per la mente quando fai lo stretching prima della partita...

Di quanta sicurezza ti dà la prima entrata in scivolata sulla palla...

Di partite che avevi già vinto prima di iniziarle per quanto eri carico...

O delle tue scaramanzie...

Che ne sanno di quanto ami questo sport, di quanto sei legato a questa squadra e di quanto bene gli vuoi?

Terra e sassi. Campi spelacchiati. Un pallone.

Dieci persone al tuo fianco. Undici di

fronte a te.

Un fischio lungo e secco.

La palla che per un attimo supera la linea del centrocampo e che ritorna velocemente indietro.

Le maglie che si mischiano. 

Questa è la tua vita.

LE MIE VECCHIE SCARPETTE

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Ho trovato in garage le mie vecchie scarpette e le ho accarezzate.

Non ci ho pensato nemmeno un secondo, mi sono rituffato nei ricordi. Ora la giacca e la cravatta hanno preso il posto della maglietta e dei pantaloncini. I capelli folti e la barba incolta non ci sono più, adesso la mia testa è impeccabile. Già, quel ciuffo ribelle che saltava da una parte all’altra, che nei giorni infiniti a rincorrere il pallone puntava nella stessa direzione dei miei sogni. Chissà quante gocce di sudore sono volate nel vento, portandosi via le romantiche speranze di un ragazzotto di periferia che era stupido e incosciente, ma sinceramente innamorato.

Io non so come chiamate quella maledetta voglia di farsi male, quella voglia di rileggere le parole nere con cui avete scritto un capitolo della vostra vita che vi ha regalato un dolore dopo l’altro. Una dozzina di infortuni. La testardaggine di ripartire sempre, perché rialzarsi aveva il sapore della vittoria, anzi della rivincita nei confronti di un universo ingiusto, concentrato a buttare ostacoli nel percorso di un giovane calciatore. Sta di fatto che più le partite perse si accumulavano, più la determinazione cresceva dentro di me. Ad ogni rigore sbagliato soffrivo come un cane, ma tutto questo mi ha aiutato a diventare campione mondiale di “voltare pagina”. Più niente poteva abbattermi.

Ho impiegato una vita intera a rincorrere quel pallone che si ostinava a rotolare sempre più distante da me. Alla fine, ha vinto lui. Ma non significa che io mi sia arreso. Ho capito, semplicemente. Ho capito che il tempo è l’avversario più tosto con cui tutti prima o poi sono obbligati a fare i conti. E che la palla rotola lontano da te perché è destinata a finire tra i piedi di un altro ragazzino affamato di sogni. Questo è il mistero che nasconde il calcio, per me.

Ma ora basta. Un’ultima spolverata alle mie vecchie, inseparabili compagne di viaggio. Del mio meraviglioso, viaggio. Grazie di tutto.

CERTI ABBRACCI NON SARANNO PIU' GLI STESSI

Il fatto è che abbiamo tutti un sogno. E per quanto piccolo ed insignificante possa sembrare agli occhi degli altri, sappiamo che il nostro compito è proteggerlo e alimentarlo.

Nel preciso istante in cui ci rendiamo conto di essere invulnerabili, abbiamo vinto. Guardiamo bene dove ci troviamo, perché certi luoghi non saranno mai più gli stessi. Guardiamo bene quali braccia ci stringono forte, probabilmente saranno testimoni degli abbracci più sinceri che potremmo mai ricevere.

La sensazione di aver raggiunto un obiettivo passa dagli occhi di un giocatore che sta massacrando di fatica se stesso con violenza inaudita per poi gettarsi tra le lacrime dei propri compagni. Ogni metro, ogni partita, ogni competizione. Voltatevi a vedere chi è quel ragazzo che raddoppia la marcatura, osservate chi è che combatte in mezzo all'area alla caccia del pallone decisivo.

Gian è il comune denominatore che riassume tutto ciò di cui una squadra necessita, il leader silenzioso che ferisce gli avversari con anticipi sontuosi.

Quando avrete bisogno di lui, lui ci sarà.

Tutto il resto non conta nulla.

ABBIAMO TUTTI UN MOTIVO

Abbiamo tutti un motivo. Ma il mio vale di più.

Ho bisogno di te per dare un senso a tutto questo. Al ghiaccio che mi taglia la faccia in pieno inverno, al caldo asfissiante durante i pomeriggi di agosto, ai giorni insopportabili delle sconfitte, alla bresaola e al grana, alle tonnellate di bresaola e grana.

Io ti porterò con me, ti porterò più in alto possibile, perché sei la mia forza, il mio traguardo impossibile. Ed è tutto quello che conta.

PER SEMPRE

Questa è la preghiera dedicata a chi ha deciso di fare una scommessa con se stesso.

Pesante come un macigno, quasi come il borsone che trasporta pezzi della tua vita. L’accappatoio portafortuna, le scarpe inzuppate con i tacchetti arrugginiti che ti scordi di cambiare, il parastinco ed i suoi graffi che con orgoglio ti fermi ad ammirare quando vuoi ricordarti di tutte le battaglie.

Avete presente di che sensazione sto parlando?

Quando la pelle delle braccia comincia a bruciare. E di colpo il bruciore si trasforma in brivido che percorre tutto il corpo. E in un attimo si trasforma in magone che stringe la gola e gonfia gli occhi di lacrime. Quelle sono lacrime di gioia. L’emozione di ricordare i giorni più belli della propria vita passati a rincorrere un pallone, senza pensieri.

Per tutte le volte che vi hanno detto di smettere.

Per tutte le volte chi vi hanno fatto sentire stupidi.

Per tutte le volte che avete sacrificato qualcosa di importante.

Per tutte le volte che avete massacrato voi stessi di fatica.

Non c’è bisogno di altre parole.

Che il calcio possa essere la nostra ragione di vita. Per sempre.

GODITI QUEI GIORNI TRASCORSI SUL CAMPO

Goditi quei giorni trascorsi sul campo.

Tutti.

Goditi il compagno che non ti passa mai la palla, oppure quello che non vede l’ora di metterti a tu per tu con il portiere.

Goditi il mister che stravede per te, ma anche l’allenatore che ti obbliga a stare in panchina.

Lo capirai tardi, ma ti aiuterà a crescere.

Goditi i viaggi per arrivare al campo,

con la voglia di spaccare il mondo.

Non aver paura di dimostrare chi sei

anche se a volte ti troverai a combattere da solo.

Goditi il sapore della vittoria,

quel misto di terra e sudore che ti si attacca sulla pelle e ti entra dritto nelle vene.

Ma impara ad apprezzare la sconfitta

perché ti insegnerà a rialzarti.

Sempre.

Goditi l’ansia

la paura di sbagliare

il tremore che si impossessa delle gambe.

Non farti ingannare dal giudizio di chi ti osserva.

Probabilmente chi ti dice che non ce la potrai fare è perché non ce l’ha mai fatta.

Allora allenati, gioca, più forte che puoi.

Perché alla fine dovrai rendere conto solo a te stesso.

SONO STATO IL PRIMO

Sono stato il primo a sentire battere il suo cuore. Il cuore del mio compagno dopo il gol decisivo. Del mio amico, della persona con cui ho condiviso mille battaglie. Sono stato il primo perché sapevo che quella palla sarebbe entrata, allora ho cominciato a correre prima di lui. Io conosco i suoi sogni, le sue paure, i suoi desideri. E tutto ciò che è suo, almeno per un attimo, rimane indelebilmente mio.

L'UNICO MODO PER NON AVERE RIMPIANTI

Una montagna di desideri abbandonati.

Ecco cosa sono le passioni senza sacrificio.

Per tutte le volte che guardandoti alle spalle ripenserai alle occasioni sprecate, ti auguro che oggi possa essere un giorno diverso. Che tu riesca a diventare consapevole del fatto che tutto questo, prima o poi, finirà. Apri la porta dello spogliatoio, siediti e assimila ogni singola emozione.

Ripensa al dolore che affatica il muscolo, al timore che paralizza le ginocchia e allo stomaco che brontola nel vortice di paura ed eccitazione. Ci sei tu, nudo di fronte allo specchio che racconta chi sei veramente. È il calcio, la più cruda metafora della vita che non contempla scorciatoie.

Finale di Champions League o partitella nel fango. Non fa alcuna differenza.

Con il borsone che ciondola sulla spalla, quello che dopo la sconfitta pesa come un macigno, lo stesso che quando vinci sembra una piuma.

Le tue storie di spogliatoio un giorno diventeranno ricordi, probabilmente i più belli della tua vita. Già adesso, se ci pensi, so che stai abbozzando un sorriso per tutte le scene che ti vengono in mente.

Allora mettici tutto ciò che hai, senza risparmiarti.

È l'unico modo per non avere rimpianti.

IL CALCIO TENNIS

Tecnica, astuzia e una abbondante dose di infamia.
Il calcio tennis rovina più amicizie di un tradimento, però non lascia spazio a dubbi: chi sa, sa.
4 vs 4, a fianco dei tuoi compagni ideali e contro avversari con i piedi di ghisa.

LO SFORZO PIU' GRANDE

Lo sforzo più grande durante una partita è quello di zittire le voci nella mia testa, chiudere tutto fuori dalla mente, concentrare ogni singola goccia di sudore sulla mia prossima giocata e cancellare gli errori precedenti.

Se ripenso ai sacrifici fatti per arrivare fin qui, mi rendo conto in un istante di essere nel posto giusto al momento giusto.

Un ultimo sguardo verso le tribune.

I ragazzi del paese armati di fumogeni, tamburi e trombette, il magazziniere con l'inseparabile bicchiere di Lucano, gli amici di una vita.

No, oggi non esiste un posto migliore.

LA PIOGGIA BATTENTE

La pioggia battente.
Il fango sotto le suole.
Il sudore che si mescola all'acqua che scende dal cielo.
È inutile sforzarsi.
Se non avete provato, non potete capire.

IL PALLONE DEL CAMPETTO

Guardo questa foto di Inzaghi nel giorno dell'addio di Pirlo e credo che sia tutto lì. E penso che una generazione di calciatori così in Italia non tornerà mai più. E non credo sia solo una questione di talento. Credo sia anche una questione di valori e di educazione. Di tempi che cambiano. 

Non penso sia un caso che quella generazione sia stata l'ultima a vincere tutto e, soprattutto, l'ultima a vincere un mondiale dove quest'anno non andremo nemmeno. 

 

Con un filo d'orgoglio penso che quella generazione è anche la mia. Siamo stati gli ultimi a giocare nelle strade. A dribblare amici e lampioni.  Per noi il calcio non era uno sport e nemmeno solo un gioco. Il nuoto era uno sport. Il Monopoli era un gioco. Il calcio era un'altra cosa. Era una passione . Era parte della nostra vita. 

Un compagno di scuola se lo incroci per strada puoi anche far finta di non conoscerlo. Un compagno di squadra si saluta sempre.

 

Per noi la partita della domenica non era un impegno tra il corso di hip hop e il karate, ma era un premio. Si andava a giocare al campo e poi si tornava a casa, stanchi, e si andava di corsa al campetto. Le partite finivano quando fischiava il sole. 

Dicono che i settori giovanili sono in crisi. Cazzate. Dove sono i settori giovanili in Argentina o in Brasile? Eppure loro i campioni li hanno. 

Perché? Forse perché hanno ragazzi che ancora giocano per passione. Da noi invece sono cambiati i ragazzi e le regole. E quindi, mi viene da dire, i genitori. Ditemi l'ultima volta che avete visto dei ragazzi giocare per strada? Io boh. 

Ora i genitori non accettano le critiche degli allenatori ai loro figli. Noi ci prendevamo in silenzio i cazziatoni anche dei custodi del campo e nessun padre avrebbe mai messo in dubbio l'autorità di un adulto. 

Ci dicevano che eravamo viziati. Ora mi scappa da ridere. Se avessimo visto uno arrivare con delle scarpe gialle al campo lo avremmo preso a pallonate. I palloni erano solo bianchi e le scarpe erano solo nere. Ma non è una questione di colori. Quelle sono mode. E' altro. E' che il sabato sera a quelle scarpe noi gli si dava il grasso di foca prima di metterle nella borsa come fossero spade di samurai. E si annusavano forte prima di dargli la buona notte. 

Guardate bene quello della foto. Lo avete riconosciuto? No, mica Inzaghi. Io parlo del  pallone. Guardate come se lo tiene stretto Pippo,  a 45 anni suonati. A San Siro. Dopo due Champions e una coppa del Mondo. Guardate come lo difende, come lo ama.

Io non ho dubbi: quello è il pallone del campetto.

LO SPOGLIATOIO

È un luogo sacro.

Ha visto nascere amicizie diventate indistruttibili, ha visto crescere squadre di allenamento in allenamento e di partita in partita.

Ha visto coltivare i sogni ad inizio Agosto per vederli poi realizzati in Primavera.

Ha visto lacrime di gioia e di rabbia. Ha visto compagni prendersi per il collo tra un tempo e l'altro e ha rivisto gli stessi compagni abbracciarsi a fine partita.

Ha visto vincere, perdere, pareggiare.

Ha visto soffrire.

Ha sentito la forza di una squadra che si riunisce al suo interno, prima di una partita importante, ognuna con un grido di battaglia diverso.

È sacro perché è inviolabile, perché tutto ciò che succede al suo interno rimane al suo interno.

È sacro perché contiene sogni, speranze e passione.

È il luogo di aggregazione di quello che all'inizio dell'anno è un gruppo di persone e alla fine una famiglia.

A VOLTE MI SVEGLIO E MI MANCA QUALCOSA

A volte mi sveglio e mi manca qualcosa.

Mi manca stare sui banchi di scuola e non vedere l'ora che arrivi l'estate, con le sue giornate calde vissute a pane e pallone.

Mi manca partire di casa alle due e rientrare al tramonto con le ginocchia sbucciate e la maglietta piena di terra.

Mi manca la tedesca, il mondialito e le partite che finiscono al dieci.

Mi manca l'amico con il pallone.

Mi manca citofonare casa per casa agli amici per andare a giocare.

Mi mancano le partite contro i ragazzi degli altri paesi, condite da sana rivalità e patriottismo.

Mi manca pensare che il Gatorade desse davvero energia.

Mi mancano le immense chiaccherate su chi fosse meglio tra quel giocatore o quell'altro.

Mi manca "Il palo salva" e "il pallone non è mio".

Mi manca "chi segna vince".

Mi manca l'amico più bravo da marcare stretto anche a costo di litigare.

Mi manca il profumo d'estate che inizia a farsi sentire nei pomeriggi di Giugno.

Mi manca giocare con palloni sgonfi.

Mi mancano le Domeniche di Agosto, quando tutti erano in vacanza ma piuttosto che non giocare si andava anche in due.

Mi manca la tristezza di Settembre, quando le scuole riaprivano i cancelli e giocare tutti i giorni era difficile.

Mi manca tutto ciò. Mi manca ancor di più quando vedo quel campetto, teatro di sogni e di mille battaglie, vuoto.

Giocate fin che siete in tempo.

Emozionatevi.

Uscite, correte, giocate sotto la pioggia, fate goal, sbucciatevi le ginocchia.

Sognate.

Non c'è niente di più bello.

TANTI AUGURI GIAN!

Sembra sempre così difficile dare un senso al tempo che passa. Guardare gli anni migliori che scivolano via senza riuscire a trattenerli per fare in modo che assumano la forgia dell'eternità.

Si cresce, si invecchia, semplicemente si vive. E nel frattempo si ricercano esempi da seguire, uomini che hanno massacrato di fatica loro stessi e i compagni di viaggio con cui hanno condiviso storie incredibili.

Per me uno di questi è senza dubbio Gianfranco Maggi.

Gian ha lastricato la sua esistenza sportiva di vittorie vissute in sordina, cementando successi dopo successi con quelle lacrime e quel sudore di chi è costretto a farsi carico delle fatiche più grandi senza il beneficio delle copertine dei quotidiani.

Gian lascia il campo per ultimo, nella solitudine dell'aria che impregna i giorni dell'allenamento a fine seduta.

Gian recupera il pallone e lo deposita nella sacca, perché è così che ha sempre fatto, fin da quando era bambino.

Gian sa che la squadra ha bisogno della sua forza tanto quanto lui ha bisogno del sostegno dei compagni. Ed è per questo che a fine partita corre ad abbracciare gli amici che dividono il suo stesso campo di battaglia.

Gli anni non sono nulla, l'età non conta niente.

Entrare in campo e sentire lo stesso brivido lungo la schiena, ecco cos'è davvero importante.

Tanti auguri Gian, grandissimo giocatore e grandissimo uomo.

IL SENSO DI VUOTO

Il senso di vuoto che lascia la delusione di un gol sbagliato, di una sconfitta, di un fallimento sportivo, di un mancato obiettivo che è stato cercato, voluto, desiderato, dal profondo dell’anima, è colmabile solamente con la presenza del gruppo. In quei momenti ci si sente soli, per poco magari, ma è così. L’unico appiglio e l’unica soluzione risiedono negli occhi dei compagni. Guardate loro negli occhi e troverete subito le motivazioni per raccogliere la prossima sfida. Più pronti di prima.

LA PARTITA CHE SI GIOCA CONTRO L'ARBITRO

"Direttoreeee!"
"Signoreeee!"
La sfida infinita contro chi può determinare il nostro umore per il resto della settimana. Abbiamo protestato, abbiamo accettato a malincuore, talvolta abbiamo pronunciato frasi epiche da cartellino viola. Ammettiamolo, ogni tanto ci siamo nascosti dietro le sue decisioni per occultare le nostre mancanze. Ma fa parte del gioco, è una regola vecchia quanto il football.
Volano cartellini e insulti, un rigore non c'è e un fuorigioco sembra grande come una casa.
Oggi è andata bene.
Oggi è andata male.
Questa è la nostra vita, perché c'è la partita che si gioca contro l'avversario. E quella che si gioca contro l'arbitro.

NON STAI MAI GIOCANDO SOLO PER TE STESSO

Ricorda che non stai mai giocando solo per te stesso.
I volti dei tuoi compagni a bordo campo raccontano tutto di te, dai loro sguardi traspare la fatica che avete condiviso in settimana.
E anche se tu in quell'istante sei il protagonista, loro saranno sempre là a sostenerti, perché sono sicuri che a ruoli invertiti tu farai lo stesso.

IL SUPPORTO INCONDIZIONATO DEI COMPAGNI

Il calcio che amiamo e del quale siamo follemente innamorati.

A volte provoca ferite che lacerano più l'anima che il corpo e che lasciano una sensazione di frustrazione e impotenza, ma non abbiamo nulla da temere.

Il supporto incondizionato dei compagni è l'energia che ci nutre ogni giorno e che non mancherà mai, potete scommetterci.

HO PRESO OGNI TIPO DI CARTELLINO

Ho preso ogni tipo di cartellino giallo.

Per un intervento un po' in ritardo.

Per non avere rispettato la distanza durante la battuta di un calcio di punizione.

Per proteste, perché non riesco proprio a tenere la bocca chiusa quando scendo in campo.

Per essermi tolto la maglietta dopo un gol.

E dietro a ciascuna ammonizione c'è una sensazione diversa, dal momento in cui l'arbitro sventola il cartellino comincia una nuova partita. Una sfida per mantenere alta la concentrazione senza cadere nell'errore fatale che costringerebbe la squadra a restare in 10, una prova di maturità mentale.

"Non bisogna mai farsi prendere dal panico. Il calcio è semplice, lineare, facile come bere un bicchiere di vino", diceva sempre un mio vecchio allenatore.

Beh, per me non è così. Nei 90 minuti che mi separano dalla vittoria o dalla sconfitta abitano migliaia di attimi che determinano il destino di chi si allaccia gli scarpini e si tatua il numero preferito sulla schiena, di chi si sporca di sangue per arrivare primo sul pallone.

Ho appena preso un giallo. I miei compagni si preoccupano, il mister trema, osserva alle sue spalle la panchina e comincia a pensare alla mia sostituzione.

Ma io sorrido, sono abituato, non voglio cambiare il mio modo di giocare.

Manca poco al termine, entro duro ma corretto, come sempre. L'arbitro si avvicina di corsa, fruga nel taschino. Doppio giallo, sono fuori, il mio mondo si accartoccia intorno ai pensieri che mi bombardano e che mi fanno restare là, pietrificato.

Ho perso la scommessa, ho tradito la fiducia del gruppo e lentamente scivolo dentro agli spogliatoi. Fortunatamente ha cominciato nuovamente a piovere, così nessuno riesce a vedere le lacrime di rabbia che rigano le mie guance, con le gocce che mi picchiano in testa e che sembrano taglienti come lame.

Questo sono io. Un ragazzo che finché avrà fiato nei polmoni ci metterà tutta l'anima, fiero di poter condividere le proprie emozioni con il gruppo e disperato quando non può dare una mano.

Questo è il calcio che ho sempre sognato.

UN URLO LIBERATORIO

Passi tutte le giornate a pensare e ripensare. Rimugini sulla partita del giorno prima, sull’errore fatto, sui gol sbagliati. “Prendi il calcio troppo sul serio. Non sarà il tuo futuro, ti fai condizionare troppo la giornata”. Non c’è frase più bella che si possa sentire per chi morirebbe per il calcio.

Quando arriva quel pallone che aspettavi da troppo tempo, calci con la convinzione di farcela. La palla varca la linea di porta e finalmente esplode un mix di emozioni. Un urlo liberatorio.

Emozioni che non si possono descrivere.

IL NOSTRO CUORE E' COSI'

Avere coraggio significa accettare il fatto che, malgrado tutto l’impegno profuso sul campo di battaglia, alla fine dei giochi potremmo uscirne sconfitti. Lo sappiamo, ma non ce curiamo e andiamo avanti. Perdere non è mai stato tragico, in fondo a noi piace lottare per il gusto di sentirci vivi.

Però c’è un avversario imbattibile, contro il quale c’è davvero poco da fare: il tempo. Alla fine vince lui. Ed è per questo che siamo così affamati. Per questo motivo ogni pallone che ci capita dentro l’area deve essere quello buono, ogni passaggio sbagliato del compagno che lentamente rotola fuori dal campo deve essere salvato, ogni contrasto deve essere vinto, ogni rigore segnato o parato. Non possiamo sapere quante volte ci capiterà il momento giusto. Siamo dei ragazzi che amano rovesciare litri di sudore correndo dietro all’avversario e al pallone, ma abbiamo un cuore d’oro. Del resto, siamo calciatori. E chi ha giocato a calcio almeno una volta nella vita sa che non è possibile scendere in campo lasciando il cuore nello spogliatoio, appoggiato con cura tra l’accappatoio e la maglietta pulita. Il cuore si trascina tra la polvere e il fango, il cuore si sporca, piange ed esulta.

Il nostro cuore è così.

LA SERA PRIMA DELLA PARTITA

Per chi gioca o ha giocato a calcio descrivere le sensazioni che si provano la sera prima della partita non è mai stato facile.

Innanzitutto perché si parla di un'emozione ben lontana dall'essere astratta, impalpabile. La senti nello stomaco, odora del ripiano basso del borsone, vibra sotto la pelle e lungo la schiena. Eccitati e nervosi, sappiamo che l'ultima immagine proiettata dalla nostra mente prima di addormentarci ci porterà a domani, nello spogliatoio. Proprio in quei secondi che ci separano dall'ingresso in campo, quando ci infileremo la maglietta e vedremo entrare l'arbitro. Lo giudicheremo subito, da come saluta e comincia ed enunciare il rituale: "Il signore vale per tutti..." Consapevoli del fatto che ognuno di noi onorerà l'impegno.
Fieri di sapere che ci spremeremo fino all'ultima goccia.
Sporcando la maglia che ci appartiene. La osserveremo orgogliosi al termine dell'incontro, prima della doccia.
Perché vive solo chi sente battere forte il cuore.


In bocca al lupo a tutti ❤️

GLI SCARPINI

Gli scarpini.

Quanti anni passati con lo stesso paio.

Sporco e ormai rotto, ma che sia per ragioni economiche e ragioni di cuore non cambiavi mai.

Mica come ora che si comprano scarpe ogni mese: fucsia, giallo evidenziatore...pff.

Ed una cosa non potrò mai scordare di tutti gli scarpini indossati: il primo giorno.

Quando andavi al negozio e ti innamoravi a prima vista di quel paio che sognavi, volevi quello e solo quello, e i tuoi genitori pronti a fare sacrifici e comprartelo.

Non vedevi l'ora di andare a giocare per sfoggiarli sul campo, ma nel frattempo li indossavi in casa, a pranzo e cena, e finanche a letto.

Guai però a metterli per strada: si consumano i tacchetti!

Ah i tacchetti...

Il rumore di quando camminavi nella tua stanzetta, nello spogliatoio...se faccio silenzio posso ancora ascoltarlo.

Poi a fine partita le lavavi, rimettevi nella scatola, belle e pulite, solo le prime volte però.

Poi diventavano sporche e pesanti di fango, come è giusto che sia: gli scarpini devono essere sporchi.

Devono darti quell'orgasmo quando alla fine della partita li togli, che solo loro sanno darti.

 

Io ancora sento di camminarci con gli scarpini, sento di volermi sposare con quelli, sotto lo smoking, sporchi, sentire il rumore dei tacchetti nella navata della chiesa.. 

...tac, tac, tac...

TI RICORDI QUELL'ESTATE?

Ti ricordi quell'estate?
La più bella della nostra vita, quando i pensieri somigliavano a pallone bucato. A caccia dei sogni più puri e semplici, sempre con gli stessi amici, sempre con la stessa ingenua necessità di correre sotto il sole fino al tramonto, quando il gioco non terminava con il fischio dell'arbitro ma con il pallone che smetteva di scintillare.
Volevamo conquistare il mondo partendo dal basso e, tra una rovesciata, un tiro mozzafiato e una parata sensazionale, ci siamo riusciti tutti.
Si improvvisava tutto, ecco perché eravamo così felici.


Il cuore ci batteva forte.
Maledettamente forte.

TRAUMI VERI DA SPOGLIATOIO DI PROVINCIA

Giochi in trasferta.
Manca poco al discorso del mister.
Sale la tensione.
Lo stomaco comincia a ribollire, senti che è arrivato il momento di liberarti.
Apri la porta del bagno nello spogliatoio. Speri di non imbatterti in lei, ma puntualmente la trovi: la maledetta "turca".
E ti viene il nervoso.


Traumi veri da spogliatoio di provincia.

LA NOSTRA DOLCE CONDANNA

Per tutte le sfangate all'ultimo minuto.
Per tutti i goal realizzati all'ultimo respiro.
Per tutti i goal subiti all'ultima palla buttata in area, nella speranza di vedere l'arbitro con il braccio teso a segnalare un fuorigioco caduto dal cielo.
Per tutte le partitelle in allenamento risolte dal compagno che adora giocare fuori ruolo.
Per tutte le sfide impossibili sulla carta.
Per tutte le volte che siamo usciti con dei punti da campi ostici.
Per i peggiori, quando battono i migliori.
Per chi sa cogliere le opportunità, senza paura di rischiare o mosso da una sana disperazione.
Perché il calcio è una magica possibilità che ci viene donata con parsimonia, 90 minuti alla volta.


Amare tutto questo.
Ecco la nostra dolce condanna.

LE "RIPETUTE"

Il rettilineo sembra un aeroporto. Ogni curva è una coltellata. Bisogna riprendere velocità, ma non è facile. Il gruppo si allunga, c’è quella gazzella che non ha pietà, so che non rallenterà. Lui è nato per correre, io per soffrire. Dai, manca poco. La bocca sa di sangue, i polmoni bruciano, il fiato tiene un ritmo irregolare.

Ultima curva, anche oggi è finita.

Sorrido ai miei compagni con un ghigno di fatica. Una pacca sulla spalla e il dolore scivola via.

Questo vuol dire vivere, questo vuol dire farcela insieme.

ABBIAMO POCO TEMPO

Abbiamo poco tempo.
Per correre insieme verso un obiettivo, per nascondersi dietro agli errori e dare la colpa alla sfortuna.

Per dormire tranquilli quando è andato tutto liscio.

Per smettere di sognare un gol all'ultimo secondo.

Abbiamo poco tempo e talvolta lo sentiamo mentre scivola via come il sudore dalla fronte.
Poco tempo per gli abbracci prima della partita, nello spogliatoio. Poco, pochissimo tempo.
Per la rabbia dopo la sconfitta. Che fa male, ma che ci aiuta a diventare migliori.

A volte pensiamo che perdere sia l'aspetto peggiore del calcio.
No. La cosa peggiore è che quando finirà non smetteremo mai di rimpiangerlo.

COSA POSSO PROMETTERE?

È più forte di me. Fa parte del mio essere matto, eterno bambino che non ha paura di sentirsi inadeguato.
L’ho fatto ancora. Ho visto una pozzanghera e mi ci sono tuffato dentro senza tutte quelle domande che affollano la mente di chi è serio e sa che certe cose non hanno senso. Ho sentito il fango scorrere sulle guance e ho sentito i fianchi affondare nel morbido. Una rara fortuna per chi come me è abituato a rimbalzare su terreni duri come il marmo per quasi tutto l’anno. Ho bloccato la palla in tuffo e, scivolando verso il palo, mi sono ancora sentito felice. Ed è per questo che lo rifarò. Non potrò farne a meno.
Cosa posso promettere?

Forse sarò più tenero con i miei difensori se perderanno una marcatura. Forse.
Cercherò di tenere il ginocchio più basso mentre mi lancio in un'uscita alta, nella mischia. Solo un pochino più basso.
Terrò più in ordine il mio borsone, anche se è davvero difficile. Sai quante cose devo infilarci ogni volta?
Cercherò di trattenere tutte le bestemmie che premono sul petto, specialmente quando ci alleniamo sui tiri in porta e subisco tiri ravvicinati a ripetizione. Senza contare quelli che provano pallonetti, cucchiai e stronzate varie. Poi ci sono quelli che mi calciano sui denti da mezzo metro. Sono là a prendermele in faccia e lo farò sempre.
Resterò più tempo abbracciato al pallone, a pancia a terra, dopo una bella parata. Me lo merito. Perderò qualche secondo in più.
Sputerò sui guanti prima di dare la mano agli avversari, è una tradizione e come tale va rispettata.
Esulterò sempre da solo per il gol dei miei compagni, sperando che qualcuno ogni tanto si ricordi anche di me.
Prenderò gol e mi rialzerò spingendo sulle ginocchia.
Mi allenerò per volare più in alto e non sentire l’orrendo suono della rete scossa dal tiro che si insacca.
E dove non arriverò con le mani, ci arriverò con il cuore.

ORA TOCCA ALLA TESTA E AL CUORE

Il destino è così. Oscuro, indefinito. Non esiste l’età giusta per smettere di giocare. Ci sei tu. C’è una partita da vincere. C’è la volontà di non piegarsi al destino. Tutto il resto non conta.

Per quanto lunga e lastricata di difficoltà sia la strada da percorrere, non disperare. Al contrario impara a godere delle difficoltà, a convivere con gli ostacoli che il destino si diverte a rovesciare durante il percorso. Abitua il tuo corpo alla sofferenza, la tua mente al dolore e non dare mai nulla per scontato. Con la forte consapevolezza che ci sia sempre il sole dopo la tempesta, che la luce della vittoria apparirà dopo la più bruciante delle sconfitte. Ma è un traguardo che va conquistato perché nessuno sarà disposto a regalarti qualcosa. Ti guardi intorno e vedi tutto buio. Questo è il momento che definisce che tipo di persona sei. Si precipita nell'abisso se non si è disposti ad aggrapparsi alle pareti con le unghie.
Cadere e rialzarsi, non è certo così facile come si pensa. Ci sono le lacrime prima di andare a dormire, c'è la fatica nelle gambe al mattino presto appena si appoggia il piede a terra. C'è il traguardo da raggiungere. Poco importa se nessuno più si fida di te, delle tue capacità e della tua tenacia. Ogni volta che ti diranno di smettere, guarda avanti. Anche se adesso non si vede, ciò che desideri è lì davanti a te. Ma ci vuole coraggio per affrontare i propri limiti, giorno dopo giorno.
Il legamento crociato. Il mondo crolla, il terreno perde consistenza. Ora tocca alla testa e al cuore.

Coraggio ABI!

SCHIAVI DI UN'EMOZIONE

Con quel nodo che stringe lo stomaco, schiavi di un'emozione a cui non sappiamo dare un nome. Siamo ansiosi ed eccitati, silenziosi. Ciascuno immerso nei propri pensieri. Legati al sogno che culliamo dalla sera prima, avvolti nel letto tra le coperte e la voglia di spaccare il mondo.
Poca gente ad osservarci mentre vestiamo con orgoglio le nostre grezze fasciature, le maglie allargate da mille battaglie e i graffi sparsi su tutto il corpo.
Vinciamo il freddo che ci affetta il volto e congela i muscoli. I piedi, inzuppati, non li sentiamo più.
Ma abbiamo un fuoco meraviglioso che portiamo dentro e che spesso sottovalutiamo. Si torna negli spogliatoi, manca poco.
È una storia infinita.
Il nostro brivido che ci accompagna prima di entrare in campo.

NON ESISTE UN POSTO MIGLIORE

Appoggio il borsone nel mio posto, come sempre. Mi levo il giaccone e lo appendo con la massima cura. Comincia il mio rituale prepartita, da eseguire con lo stomaco che brontola e la tensione che sale. Perché in questi momenti non conta l’età, non conta se sei alla tua prima partita o se hai raggiunto 300 presenze. Se ami questo sport, avrai sempre il timore di sbagliare, di sfigurare, di buttare nel cesso una intera settimana di fatiche per uno stupido errore. E sai che per qualche notte non saresti in grado di perdonartelo.

Controllo per l’ultima volte le scarpe, le pulisco nervosamente, le schiaccio tra le mani per ammorbidirle ancora un po’. Metto su le cuffie e provo a non pensare più a nulla. Chiudo fuori il mondo. Solo ogni tanto butto uno sguardo ai miei compagni, abbozzando un sorriso per cercare di tranquillizzarli e caricarli. Ripasso a mente i miei compiti, stringo i pugni e cerco di far riaffiorare la sensazione bruciante di tutte le sconfitte, in questo modo sarà più facile entrare in campo con la voglia di combattere.

Oggi devo essere perfetto. Oggi ho bisogno di non sbagliare nulla.

Prego il mio Dio. Forse questa volta mi ascolterà.

Lo sforzo più grande durante una partita è quello di zittire le voci nella mia testa, chiudere tutto fuori dalla mente, concentrare ogni singola goccia di sudore sulla mia prossima giocata e cancellare gli errori precedenti.

Se ripenso ai sacrifici fatti per arrivare fin qui, mi rendo conto in un istante di essere nel posto giusto al momento giusto.

Un ultimo sguardo verso le tribune.

Qualche ragazzo del paese, Carlo con l'inseparabile sigaro in mano, gli amici di una vita.

No, oggi non esiste un posto migliore.

LA VITA DEL DILETTANTE CON IL CUORE DA PROFESSIONISTA

Non c'è solo il gol.

Non ci sono solo le risate con i compagni nello spogliatoio.

Non c'è solo il meraviglioso suono dei tacchetti.

Essere un calciatore dilettante significa imparare a convivere con le più grandi sconfitte della vita e ripartire ogni giorno con il sorriso stampato sul volto. Un viso solcato dalle lacrime amare e pesanti del sognatore che ha visto svanire il sogno del grande stadio, della grande partita, del grande pubblico. Di grande resta solo la fatica che si prova alla fine dell’allenamento che segna la partenza della nuova settimana prima della prossima partita. Si ricomincia a correre, a spingere sull’acceleratore, magari alla fine di una lunga giornata tempestata dei problemi di noi comuni mortali. La scuola che soffoca, il lavoro che non gira, la ragazza che proprio oggi ha voglia di litigare.

Si getta il borsone al solito posto, svestendosi dei panni che fino all’inizio dell’allenamento ci definiscono come “persone normali”, e si mette in moto il motore della passione. Oggi si soffre tutti insieme, perché il calcio dei dilettanti è così: vero, genuino, maledettamente faticoso. E non provate a dire che per noi è uno stupido passatempo, perché non è davvero così.

Siamo i primi a prenderci poco sul serio con la tuta della nostra squadra mentre in pizzeria restiamo a ripensare alla partita appena conclusa, immaginando come sarebbe andata se avessimo fatto quel gol. Ma siamo anche i primi ad affrontare le ripetute, i balzi, le flessioni e gli addominali. Sempre con la stessa rabbia dentro, sempre con la stessa voglia di interrogare il destino per capire se la prossima potrà essere la partita della vita. La vita del dilettante con il cuore da professionista.

LA FORZA CHE CI MUOVE

Ci sono tanti modi per spiegare qual è la forza che ci muove. Si può trovare in tutte le parole che ci spingono a mollare, a lasciar perdere. Ma non sono parole. Sono benzina che ravviva il fuoco che brucia dentro. Perché noi sappiamo che la cima è là, anche se non la vediamo. Ma avremo sempre il coraggio di provare a raggiungerla

CENTROCAMPISTA CENTRALE

Centrocampista centrale.

Una vita passata nel mezzo del campo di battaglia.
Tutte le volte con mille domande in testa, tutte le volte con un'unica immensa risposta: ci lascerò il cuore, è quello che ho sempre saputo fare meglio degli altri. 
Chi mi guarda da fuori ha il privilegio di osservare l'essenza, la meravigliosa purezza che fa rinascere la magia del calcio giorno dopo giorno. Ci sono io che continuo a correre, a combattere contro i miei limiti. Ci sono io che voglio sempre dimostrare, senza mai chiedere nulla in cambio. A fatica riesco ad andare ad esultare con i miei compagni quando facciamo gol, devo recuperare le forze perché dopo qualche secondo l'arbitro fischierà di nuovo ed io dovrò essere pronto. Qualche volta capita anche a me di segnare, e in quel momento... Beh, è inutile che stia qui a spiegarlo... In quel momento sento il mio cuore, al quale chiedo il massimo ad ogni corsa, che si riempie di un'emozione nuova, come se volesse ringraziarmi. Ed io vado a festeggiare con le lacrime agli occhi tra le braccia dei miei compagni. Sono stato davvero bravo. Ma ora mi tiro su le maniche, torno al mio posto.
L'arbitro sta per fischiare. Di nuovo.

OGGI ABBIAMO PERSO MA NON IMPORTA

Oggi abbiamo perso ma non importa. Per la prima volta nella mia vita ho capito cosa conta veramente. Ho capito cosa è importante, l’essenziale. Ho visto che tutte le energie dei ragazzi con cui divido lo spogliatoio erano generate dalla stessa voglia. La voglia di stupire, la voglia di superare ogni limite, la voglia di vincere. Perché avere voglia di vincere non significa necessariamente dover vincere. Ma quando noi stiamo insieme mi sembra di poter cambiare il mondo. Torno a casa e sto bene. E non c’è nulla di più importante.

QUEL MOMENTO PRIMA DEL FISCHIO DI INIZIO

C’è un momento prima del fischio di inizio in cui si è soli con i propri pensieri. Ognuno ha i suoi, le sue motivazioni, le sue emozioni e i suoi obiettivi. Un momento sacro, un rituale irripetibile.

"Allora ragazzi, le ultime cose. Mi raccomando sui calci d'angolo si marca a uomo, se guardi la palla perdi di vista l’attaccante e la palla non entra mica in porta da sola cari miei. Chi va sul palo? Rosso dai le consegne. A centrocampo voglio pulizia, geometria, serenità, chiaro?”

Quante volte.
Quante volte ho sentito e risentito queste frasi. Con la mente offuscata dalla voglia di scendere in campo per trasformare le parole in fatti. È quello che mi è sempre riuscito meglio.

"Aggressivi dal primo minuto, partiamo forte."

Le parole che scandiscono gli ultimi momenti passati a dirsi ancora e ancora quelle frasi che ci servono per esorcizzare le paure che vivono dentro di noi. Il timore di giocare male, di arrivare secondi sul pallone. Ma siamo noi, i compagni e gli amici di una vita. Gli stessi dentro l'area di rigore, gli stessi di fronte ad un bicchiere di Sambuca al Roba. E allora ci facciamo coraggio.
Ancora pochi secondi. L'ultima preghiera e poi si combatte.
La gloria è là. Andiamo a prenderla.

TUTTE LE VOLTE CHE STO PER ENTRARE IN CAMPO

Mi capita tutte le volte che sto per entrare in campo. Penso a tutta la fatica fatta per essere qui. Ai giorni rubati agli amici e alla fidanzata per correre dietro al pallone, per sfidare i miei limiti. Resisto al freddo, alla pioggia tagliente, al sole ustionante. Sopporto i rimproveri del mister, le lamentele di chi sta in tribuna a sottolineare i miei passaggi sbagliati. Sopporto il compagno che non me la passa dopo una sovrapposizione, il rigore contro al novantesimo, il cartellino inventato.

Sono nato per resistere e sopportare.

Perciò i campi devastati e gli avversari di turno non possono scoraggiarmi. Resisto alle sconfitte, combatto per le vittorie. Faccio quello per cui sono al mondo. Lotto, lotto tutte le maledette volte che infilo gli scarpini. Butto aria nei polmoni, scatto più veloce che posso e sento battere forte il cuore.

A piedi uniti contro le paure.

A piedi uniti contro chi mi vorrebbe sempre preciso e ordinato.

A piedi uniti contro il mondo. Perché qui comando io.

LA RIGA DEL RING

Inizia tutto il giorno dell'ultimo allenamento: ti sei impegnato tutta la settimana, hai faticato forse troppo per il tuo corpo, ma tu sai che puoi spingerti oltre e lo fai. Esegui alla perfezione gli ultimi esercizi che l'allenatore ti fa fare, trascini la squadra con te, alcuni hanno la testa da un'altra parte...la ragazza, il venerdì sera...

Tu guardi in silenzio, vorresti che si applicassero come fai tu, ma sai che sprechi fiato e quindi stai zitto. Può parlare solo il capitano. Mentre ti avvii negli spogliatoi per la doccia inizi già a pensare a cosa dovrai fare quando sul campo ci saranno gli avversari e non semplici cinesini. Ti svegli e inizi a sentire già un po' d'ansia, che sia la partita più facile del campionato o la più dura, non fa differenza. Continui a chiederti se reggerai fino al 90º. "Certo che ce la farò, contano anche su di me". Arriva la sera e inizi a preparare a borsa. Qui iniziano già le scaramanzie: guai se la seconda maglia è piegata male o se le scarpe non sono al loro posto accanto ai parastinchi. Le ultime cose a casa pensando agli schemi, i calci d'angolo, le punizioni, le galoppate chilometriche in campo aperto.
Poi in macchina fino al campo: cerchi di caricarti, provi ad ascoltare un po' di musica, ma forse non fa effetto. Negli spogliatoi la tensione è a mille. Non si capisce mai cosa si prova e si percepisce concentrazione: guai a chi la spezza. Prima il calzettone sinistro, poi il destro, pantaloncino, scarpe e infine la maglia, quella maglia da titolare per cui hai sudato durante la settimana: ormai è tua, ma non è finita.
Mi sciacquo la faccia con l'acqua gelida.
Tremo.
Non ho paura ma tremo. Voglio scendere in campo e scaricare l'adrenalina. All'uscita dello spogliatoio il capitano ci dà una pacca sulla spalla, mi carico ancora di più. Dopo il riscaldamento guardo quelle linee bianche che delimitano il mio parco divertimenti, lo spazio in cui sono un'altra persona: lo guardo e mi innamoro ancora di più.

Si scende in campo, tocco la riga del ring. È il momento. Si lotta.

UNA PACCA SULLA SPALLA

Il rettilineo sembra un aeroporto.
Ogni curva è una coltellata. Bisogna riprendere velocità, ma non è facile. Il gruppo si allunga, c'è quella gazzella che non ha pietà, so che non rallenterà. Lui è nato per correre, io per soffrire. Dai, manca poco. La bocca sa di sangue, i polmoni bruciano, il fiato tiene un ritmo irregolare. Ultima curva, anche oggi è finita. Sorrido ai miei compagni con un ghigno di fatica. Una pacca sulla spalla e il dolore scivola via. Questo vuol dire vivere, questo vuol dire farcela insieme.

LE AMIAMO, LE COCCOLIAMO

Le amiamo, le coccoliamo, quando dobbiamo privarcene è sempre un colpo al cuore. E talvolta al portafoglio. Ogni tanto le abbandoniamo sporche di fango nell’angolo più sudicio del borsone. Poi abbiamo bisogno di loro, e di corsa a chiedere scusa.

Tutti abbiamo la nostra preferita. Quel modello. Quel numero.

Perché cambiare marca di scarpino è come cambiare fidanzata

ABBIAMO SCELTO

Se l'avete pensato almeno una volta, allora fareste meglio a smettere.

"Ma chi me lo fa fare?". No, questa frase non può convivere con il nostro spirito.

Ci appendiamo alle reti del campo con la testa ciondolante, sentiamo bruciare i muscoli delle gambe e i polmoni, abbiamo il cuore che raggiunge un numero di battiti che mai avremmo potuto immaginare.

Tutto questo perché abbiamo scelto.

Scelto di credere in qualcosa di nostro, di farci beffe del tempo che passa e della vita che diventa ogni giorno più complicata, di correre per raggiungere un obiettivo lontano molti mesi e chilometri. Abbiamo scelto la fatica, il sudore che imbratta la maglia della nostra squadra, la nostra corazza, e che diventa sempre più pesante dopo ogni singolo giro di campo, dopo ogni scatto per provare a fare gol, per fermare l'attaccante o per lanciarci in tuffo a deviare il pallone destinato all'angolino.

Abbiamo scelto i nostri sapori e i nostri odori che ci riempiono le giornate, dall'erba tagliata di fresco al rancido puzzo dal profondo del borsone prima dell'allenamento. E poi c'è l'olio canforato per i massaggi, la vaselina per ammorbidire le scarpe nuove, l'acqua fresca che ci aspetta al termine della seduta.

Abbiamo scelto di farci un po' male, infatti sappiamo tutti che affronteremo giorni duri e sconfitte brucianti. Ma non ci spaventa. Perché dopo la tempesta uscirà ancora una volta il sole, e chi lo avrà meritato potrà goderselo.

Abbiamo scelto di essere calciatori nel cuore e nell'anima, lontano dai riflettori e dai grandi palcoscenici. Ed è molto più duro ma molto più gratificante così. Abbiamo scelto gli applausi dei nostri compagni di squadra, non quelli dei tifosi che affollano i grandi stadi.

Abbiamo scelto tutto questo perché il calcio rappresenta la parte migliore della nostra esistenza.

Non è un gioco. Per noi è davvero tutto.

TUTTO IL RESTO NON CONTA

Quando sei bambino e cominci a palleggiare sotto il sole di un campo polveroso, i tuoi sogni ti portano ovunque. Lontano da casa, lontano dagli amici, lontano dalla mediocrità del proprio cortile. Poi cresci e ti rendi conto che la vita che hai sempre immaginato, con il pallone sempre attaccato al piede, è davvero la migliore possibile. E poco importa se non sarai in grado di giocare a S.Siro o allenarti nei migliori campi del mondo. Quando finisce la stagione non vedi l'ora che sia di nuovo tempo di preparazione precampionato, fianco a fianco dei tuoi compagni. Dimentichi le giornate sotto l'ombrellone, le birre ghiacciate all'aperitivo, le cene spensierate chiuse con un lucano, i bagordi e gli eccessi dell'estate. Ora torni a correre, con le gambe un po' più pesanti ma il cuore decisamente più leggero. È il tuo sogno immortale, la tua salvezza.

Tutto il resto non conta niente.

VIVIAMO PER QUESTO

Puoi essere un “calciatore” di Promozione, seconda categoria o anche amatoriale, ma tu che passi di qua vivi di calcio. Vedi calcio ovunque. La passione quasi come un’ossessione. "Ma chi te lo fa fare" diranno, giochi negli amatori. Ma noi viviamo oltre. Siamo catapultati in un’altra dimensione. Respiriamo calcio.

Da bambino i primi calci in piazza. Da ragazzo la camera da letto piena di poster, come fossero lì appesi per darti la buonanotte. I gomiti sbucciati in oratorio, pure lì ci andavi per vincere. Mastichi calcio. Quando hai la palla attaccata al piede ti senti il padrone di tutto. È bello innamorarsene.
Poi c’è la cosa più bella, l’allenamento. È dove si crea il gruppo, ci si sente squadra. Ci saranno delle giornate dove ci si deve sacrificare, quando non ti riesce praticamente niente e sentirai nelle orecchie le urla da parte del mister. Ma non è solo questo. È anche arrivare ogni volta allo spogliatoio e buttare per terra il borsone e sedersi nel proprio posto. Sì perché ognuno nello spogliatoio ha il proprio posto.
Vivi per quello che accade dopo, sul rettangolo verde. Vivi per l’allenamento del giovedì dove provi e riprovi sempre lo stesso schema. Le ultime indicazioni. Durante l’allenamento osi. All’allenamento non dici mai di no. Può diluviare, buio fitto, quattro riflettori accesi, ti metti il k-way e via a inzuppare le scarpe tra il fango e le pozzanghere. "
Ciaf ciaf" è quasi una melodia unita al suono del fischietto che rompe il silenzio. Gli ultimi minuti, chi segna vince, ti giochi tutto. Vale tutto. Giochi a tirarti la casacca in area. Astuzia, tanto vale tutto. La scivolata, i calzettoni da bianchi a marroni. Tieni ancora botta, inciti, cerchi di dare indicazioni. È qua che si sente il gruppo come non mai. Poi arriva il gol, soddisfazione e liberazione.

Ci si dà il cinque. Ora si può andare nello spogliatoio. La casa. Le scarpe sporche, arrivi, ti siedi a bere qualcosa, ridi, scherzi, ti confidi. Passeresti ore sotto la doccia. Parli con l’amico di sempre. Parli degli avversari della partita che arriverà. Già di quella partita che arriverà. Forse hai un po’ di paura. A chi non è mai battuto il cuore prima di entrare in campo. È la nostra passione. 

La lista dei convocati via watsapp sul cellulare.
Poi arriva il "giorno". Tutti con la tuta di rappresentanza. Quasi non ci riconosciamo, così. C’è chi va a sentire com’è il campo e chi è in panchina a fare le ultime battute. Poi si entra, ognuno ha il suo posto, come sempre. Il mister, le sue parole, le consegne. Le ultime indicazioni e l’ultimo giro di nastro ai parastinchi. Ti tiri su i calzettoni, allacci bene le scarpe. Lo schiocco dei tacchetti sul pavimento. Bevi un po’ dalla borraccia anche se non hai sete. Gli ultimi sospiri, le pacche sulla schiena. L’appello dell’arbitro e tutti in cerchio a fare l’urlo.
Ogni volta la stessa sensazione. Viviamo per questo.

NOI SIAMO MOLTO, MOLTO DI PIU'

Dimenticatevi i campi con l'erba pettinata.

Se la palla va in fallo laterale, dovrete correre per andare a riprenderla.

Le ferite si lavano con l'acqua della borraccia.

Dopo il gol segnato, festeggiate esageratamente.

Dopo il gol subito, rincuoratevi con forza.

Non fatevi condizionare dal calcio della televisione. 

Noi siamo molto, molto di più.

LO SPOGLIATOIO

Lo spogliatoio. Esiste luogo più bello al mondo?
Lo spogliatoio è un incredibile amplificatore di emozioni; mette a nudo le nostre paure, rivela agli altri lati nascosti della nostra personalità.
Ci rende imbattibili o estremamente vulnerabili, per questo ognuno esorcizza la tensione a modo suo.
C’è chi parla con il compagno, chi si chiude in una concentrazione silenziosa; chi ascolta musica e chi esegue la sua routine con cura maniacale. Ogni Santa Partita.

Poi ci sono io.

Entro per primo e mi sistemo al solito posto, nel solito angolo. Da qui si vede tutto; ormai conosco gli altri così bene che da come affrontano il pre-partita posso già quasi prevedere come giocheranno.
Lucido le scarpe con la solita spazzola e il grasso di foca della stessa marca dal 2005. Mi fascio stretto le caviglie, badando a non invertire il senso del bendaggio. Sistemo ordinatamente i pantaloncini e i calzettoni sulla panca, appoggio i parastinchi sopra la felpa. Mentre parla il mister, tengo a mente i nomi di chi va in barriera e di chi, e come, è disposto sui calci piazzati. Non posso farmi trovare impreparato.

Scorro le facce dei miei compagni, una ad una, mentre si compie il rito: a chi guarda per terra vorrei dire che non c’è niente di peggio della paura o dell’indifferenza, per disonorare questo gioco.
Il calcio non ammette paura e indifferenza, solo dedizione e passione incondizionata. Li esige e se li merita, per quel che ne so.
Indosso la maglia che mi viene lanciata ormai quasi alla cieca, e lei volteggia lieve e poi si lascia stringere forte dalla mia mano. Sa che mi appartiene.
Il mister ha concluso: un applauso di incoraggiamento e posso finire di prepararmi. Indosso la felpa, bevo un goccio d’acqua, mi bagno i capelli; passo in rassegna di nuovo i compagni; una pacca sul petto ad ognuno di loro prima di uscire per il riscaldamento.
Non ho ancora capito perché io faccia tutto questo o perché abbia così tanto valore per me: orgoglio, passione? Forse per la gloria...alla faccia di quelli che la gloria vanno a cercarla in Cina a suon di milioni.

La mia vita è tutta qui, tra il rettangolo verde e queste quattro mura, e tanto basta.
Lo spogliatoio, la mia squadra.
Esiste qualcosa di più bello al mondo?

CICATRICI SUL CUORE

Preoccupatevi di curare le cicatrici sul cuore.

Quelle causate dalle sconfitte al novantesimo, dal gol dell’attaccante che dovevate marcare, dal fuorigioco sbagliato, dal passaggio troppo lungo o troppo corto, dalla squalifica prima della grande partita.

Curate le cicatrici sul cuore.

Perché quelle sulle ginocchia, tra 30 anni, non vi faranno più male. Vi faranno piangere.

VEDRANNO TUTTO

Vedranno il gol, mai tutti i tiri sbagliati dal lunedì al venerdì.

Vedranno l’esultanza, mai la corsa disperata per arrivare puntuale ad allenamento.

Vedranno le scarpe pulite prima di entrare in campo, mai le infinite ore passate a pulirle dal fango, al freddo, con la stanchezza che ti mangia i muscoli.

Vedranno gli abbracci con i compagni, mai le pacche sulle spalle dopo i giri di campo sotto l’acqua torrenziale o sotto il sole infuocato di agosto.

Vedranno il sorriso dopo la vittoria, mai le lacrime dentro lo spogliatoio dopo le sconfitte.

Vedranno i festeggiamenti, mai le notti insonni per quell’errore sciagurato.

Vedranno tutto. Ma non sapranno mai cosa abbiamo passato veramente.

INSEGUENDO UN SOGNO

Vorresti ricominciare subito tutto dall’inizio. Sai perché? Perché quando smetterai, non ti mancheranno i campionati, i trofei e tutte le vittorie. Il calcio crea dipendenza, ma la peggiore che possa esistere. Avrai bisogno del profumo dell’erba tagliata appena arrivato al campo, del numero attaccato sul tuo posto sopra la panca dello spogliatoio, del freddo glaciale e del caldo asfissiante.

Ti guarderai intorno e non troverai più niente.

Niente. Niente più risate dei compagni, prese in giro per quella punizione sbilenca, ricordi orgogliosi di quella scivolata perfetta, dell’intervento che ha salvato la partita. Niente torello, niente olio canforato, niente salva pelle, niente nastro da rubare al solito compagno, niente shampoo da chiedere in prestito, niente cori improvvisati a fine partita, niente caviglie a pezzi, niente braccia amiche su cui appoggiarsi quando le proprie gambe non reggono più.

Le nottate passate a chiedersi perché, a massacrarsi sicuri del fatto che si potesse fare di più, ti sembreranno dannatamente lontane, perdute in chissà quale dimensione del tempo e dello spazio.

Ti verrà da piangere, nel buio della tua stanza. Ricorderai quanto fosse appagante sdraiarsi nel letto dopo la partita, con il sorriso di chi sapeva di aver dato tutto. Ricorderai i pensieri che bombardavano la mente sotto la doccia bollente, con la testa china e gli occhi sbarrati sul pavimento, ubriaco di felicità o devastato dalla delusione.

Ma sarai felice. Perché sarai consapevole di aver trascorso i migliori anni della tua vita inseguendo un sogno.

ABBIATE CURA DELLA VOSTRA CASA

Abbiate cura della vostra “casa”.

Conosce ogni nostro segreto, ogni nostra paura, ogni nostro timore e li trasformerà in punti di forza.

E’ il luogo in cui costruiremo i nostri successi e quello in cui ci leccheremo le ferite,

E’ il luogo in cui non ci sentiremo mai fuori posto o a disagio.

E’ la residenza della nostra passione e della nostra anima.

Abbiatene cura, sempre.

DIFENDIAMO I NOSTRI RICORDI

Se scegliete di indossare gli scarpini distrutti perché portano fortuna.

Se preferite il calzettone troppo largo intorno al polpaccio.

Se indossate gli stessi parastinchi da una vita.

Se l’aria gelida vi strozza il respiro e brucia le labbra.

Se durante il minuto di raccoglimento vi sentite protetti da uno scudo invisibile mentre stringete un abbraccio di ferro.

Se riuscite a riconoscere cosa sia davvero importante nella vita.

Se avete provato questo, almeno una volta, avete vinto.

Difendiamo i nostri ricordi. Sempre.

BENVENUTI NEL CALCIO DELLE EMOZIONI

Sputiamo sangue tutti i giorni. Proviamo a trasformare i nostri sogni in realtà, sfidando campi impossibili, vento e pioggia. Viviamo per quella sensazione devastante di fatica mista a soddisfazione, con le gambe che pesano di fango e chilometri. Fatichiamo a spiegare perché siamo innamorati della terra che sporca i calzettoni e fa sanguinare le ginocchia, ma noi non siamo nati per fare della filosofia.

Tutti i giorni guardiamo in televisione il calcio dei grandi. Sono puliti, precisi, pettinati. Noi siamo brutti, sporchi e cattivi. Ma sul nostro campo per batterci dovrebbero impegnarsi alla morte anche i fenomeni milionari. Sui nostri campi comandiamo noi. La tecnica è un particolare trascurabile, qui sulla bilancia bisogna buttare tonnellate di cuore e fegato.

Benvenuti nel calcio delle emozioni, il nostro calcio.

SI VA IN SCENA

Abbiamo passato tutta la settimana a costruire il nostro sogno.

Domenica la Serie A, ieri la Champions, oggi l’Europa League.

Tutto molto bello, ma stasera tocca a noi per dimostrare ancora una volta che il vero calcio non conosce campi perfetti e divise splendenti.

Noi siamo quelli dei calzettoni con l’elastico allentato per le troppe battaglie, quelli che non si lamenteranno mai per la maglia sempre troppo larga o troppo stretta, con le cuciture che lentamente si lacerano. D’altronde dentro il campo vale tutto, strattoni e spinte comprese.

Perché ciascuno di noi avrà sempre un motivo per fare meglio.

Perché ciascuno di noi avrà sempre qualcosa da dimostrare.

Si va in scena.

TI DEVO TUTTO

Quando arriverà il momento di lasciare tutto alle spalle, avrò paura a voltarmi e non trovarti più; ciò che sarà invisibile agli occhi vivrà inciso nel mio cuore, rigato e provato dalle migliaia di ore passate a farsi male per colpa tua.

Ma non avrò nostalgia delle vittorie. Nemmeno dei gol.

Piano piano proverò ad abituarmi alla tua assenza, mentre chiudendo gli occhi ripenserò alla musica suonata dai tacchetti contro le piastrelle dello spogliatoio, romantica come la pioggia che colpirà leggera sui miei ricordi.

E farà male, già lo so. Perché sarai per sempre la parte più pura di me.

Ti devo tutto.

IL NUMERO 9

Alza la testa e mi troverai là davanti.

A sgomitare con i cagnacci della difesa, a fare a sportellate per proteggere ogni pallone che mi lanci ad occhi chiusi.

A rincorrere l’avversario mentre la palla lentamente scivola fuori dal campo.

Alza la testa e troverai il mio sguardo che aspetta un solo, maledettissimo pallone. Io proverò a trasformarlo in oro.

E dopo corri ad abbracciarmi.

Sono pronto alla battaglia, anche se so che tanti mi giudicheranno solo per il gol.

Io sono il centravanti, il n.9.

IL MIO CALCIO CHE NON C'E' PIU'

Siamo stati costretti ad accettare parole come simulazione, fuorigioco millimetrico, turnover, moviola. Abbiamo lentamente abbandonato il concetto di lealtà, piegandoci alle regole del calcio dei grandi. Ma davvero tutto questo è successo a noi?

Noi che aspettavamo 10 minuti per vedere se le squadre erano troppo squilibrate, cambiando formazioni senza battere ciglio, perché la sfida regolare era più emozionante di una squallida goleada.
Noi che accettavamo con dignità la spallata dell’avversario che ci faceva rotolare nella polvere, evidentemente perché avevamo affrontato lo scontro in maniera troppo morbida. Sapevamo darci la colpa, sapevamo mettere in dubbio noi stessi. Una lezione di vita unica, che ti marchiava a fuoco.
Noi che non abbiamo mai protestato per un gol subito dall’attaccante partito in fuorigioco di mezzo metro. Non era così importante.
Noi che eravamo in grado di autocondannarci per aver commesso un fallo da rigore. Una spolverata alla maglietta, una lucidata all’orgoglio e via di nuovo in campo.
Vincere, perdere. Siamo cresciuti con la convinzione che non fosse questo il senso della nostra vita.
Abbiamo sempre preferito contare i tagli sulle ginocchia, scrostando le minuscole pietre che si incastravano sotto la pelle.

Si può resistere alla fatica delle gambe che chiedono pietà. Ma non riusciremo mai a resistere al dolore che ci provoca il ricordo di un calcio che sta scivolando via.

TU SEI IL NUMERO 1

Non tutti riescono a capire cosa ci sia alle spalle di una giornata così.
Ore e ore passate a provare e riprovare un gesto, a guardare il dettaglio, a perfezionare l’errore.
Fare il portiere è un po’ come fare lo scultore.
La maggior parte delle volte, devi togliere qualcosa per migliorare.
Un passo di troppo, un secondo di troppo, un pensiero di troppo.

No way, tu sei unico nel tuo genere; anzi, alcune volte sei proprio l’Unico. Ad allenarti da solo, come un matto, a fare forza con la palla medica e gli ostacoli, cercando di costruirti quel poco di fisico che Madre Natura t’ha dato, mentre i tuoi compagni masticano le ripetute sulla pista d’atletica. Ah, se solo fossi più alto, più magro, più forte. “Se rinasco, faccio il portiere” ti gridano, mentre accelerano sul lato lungo, pensando che tu sia lì a cazzeggiare.
Come no, amico; provaci tu a stare sotto l’acqua gelida di novembre, quando non succede nulla per 89 minuti e al 90esimo ti tocca tirare giù la serranda in faccia a qualche metalmeccanico di 100 chili che fa partire fucilate in mezzo al fango, con la palla che pesa come un’anguria.
Niente da fare: portieri ci si nasce.

Alcune volte, quando prendi gol, li vedi lamentarsi, sbuffare, sbattere le braccia. Come se fosse sempre, irrimediabilmente colpa tua. Ma, in fondo, che ne sanno loro dell’attacco palla, del leva–gamba, della mano di richiamo, dell’uscita a croce?
Cosa ne sanno di quanto sia difficile passare sotto ad un nastro e poi sopra e poi di nuovo sotto, curando maniacalmente il gesto, cercando la perfezione e, soprattutto, di non far passare quella maledetta palla?
Per ogni volta in cui ti malediranno per un’uscita che non hai fatto, ce ne saranno dieci in cui ti batteranno il cinque perché alla fine sanno che possono sempre contare su di te; che sei lì solo per loro, per guardare loro le spalle come un bravo soldato di trincea, per salvare il loro culo pesante che si è dimenticato di marcare un ragazzino del ’96 che sbuca veloce sul secondo palo.

Perché sanno benissimo che, alla fine, sei tu il loro Numero 1.

I CAMPI DI PROVINCIA

campi di provincia sono quelli che nascondono più segreti. Conservano ogni anno nel terreno gelato dell’inverno le nostre fatiche, i nostri pianti, il nostro sudore versato in settimana e in partita.

Conservano i segni dei tacchetti, i giuramenti coi compagni, il rumore della vittoria e il silenzio della sconfitta. Ed è l’unico posto in cui possiamo cercare le nostre risposte e le nostre soluzioni.

E’ inevitabile.

I RICORDI PIU' BELLI

A distanza di anni, questi saranno i nostri ricordi più belli. La gloria personale ha poco senso se non si ha qualcuno con cui condividerla.

IL SOGNO CHE INSEGUIAMO

Rimango appoggiato al palo della porta che difendo dal primo giorno in cui ho infilato gli scarpini, esausto, ripensando alla fatica fatta fino ad oggi.

Il freddo tagliente dell’inverno si sta facendo sempre più lieve, tra poco arriverà la primavera. E chi gioca a calcio lo sa, primavera non significa fiorellini e scampagnate sotto il primo tiepido sole. Significa che è arrivato il momento decisivo della stagione, il momento in cui ogni errore si trasforma in rimpianto, ogni allenamento sbagliato ti strappa via le certezze costruite con litri di sudore, ogni ora passata nello spogliatoio assume un valore inestimabile. Ci sono io con i miei compagni. Tutto il resto è un contorno che potremo rendere indelebile o polverizzare. Ma pretendo che questo gruppo venga ricordato negli anni. E allora mi rialzo e brucio le ultime energie in un allungo che mi gonfia i polmoni e mi fa bruciare le gambe.

Questa sera berrò una birra con i miei compagni. E tra una risata e l’altra condivideremo un desiderio, senza parlare, nella speranza di vivere da leoni la sfida che ci attende. Proprio in quel momento prometto che darò tutto per non subire gol, per non perdere nemmeno un contrasto. È il sogno che inseguiamo.

Sarà dura, ma sono pronto.

UN'ALTRA PARTITA E' ANDATA

Un’altra partita è andata.

Un’altra giornata di campionato lasciata alle spalle.

Un’altra sera col sorriso stampato in faccia per una doppietta, un rigore parato, una vittoria al novantesimo. Per alcuni.

Un’altra sera a non voler sentire nulla di ciò che è successo, brucia ancora troppo. Per altri.

E’ il calcio ragazzi.

Testa alla prossima partita. Sempre.

DUE MINUTI

Due minuti prima di uscire dallo spogliatoio.

L’ultima preghiera e poi si combatte.

La gloria è là.

Andiamo a prenderla.

LA VOCE

Per chi è fuori è sempre più difficile.

La tensione è più lunga.

Il tempo a disposizione per influire sul match è ridotto, a volte nullo.

L’unica arma a disposizione è la voce, e quella non manca mai. Garantito.

Potrà sembrare poco, ma per il gruppo significa tutto.

I NOSTRI SOGNI IMPOSSIBILI

Ho imparato a riconoscere ciò che è davvero importante nella mia vita. Anche se, in fondo, non riesco a spazzare via tutti i miei dubbi.

Starò facendo la scelta giusta? Esisterà mai qualche altra strada per raggiungere la felicità? È possibile che la risposta definitiva non ci sia, tutto qua.

Ma allora perché mi sento così bene quando infilo gli scarpini e affondo i tacchetti nell’erba e nel fango, quando colpisco il pallone e mi innamoro del suono perfetto del cuoio? Mi lancio in rovesciata e i problemi spariscono. Mi avvento in scivolata e non ho più paura. Mi riesce un dribbling e il cuore batte più veloce.

Dovrebbero insegnarci ad essere felici, obbligandoci ad inseguire i nostri sogni impossibili. Quei sogni che ci fanno restare vivi e che non si realizzeranno mai, ma che proprio per questo motivo rappresentano la nostra romantica fonte d’ispirazione.

Rischiate, sbagliate, riprovate. Fino all’ultimo respiro.

IL 4 E IL 5

Siamo il 4 e il 5.

I difensori centrali.

La cerniera difensiva.

La colonna portante di ogni squadra.

Abbiamo un solo obiettivo ed è maledettamente complicato.

La concentrazione prima della battaglia. L’ansia che ti toglie certezze.

L’unico pensiero che rimbomba nella mente: vincere il primo contrasto, vincere ogni duello, vincere a tutti i costi.

Quando i compagni si volteranno a guardarci, dovremo essere perfetti. Petto in fuori, sguardo deciso, voce ferma. Vietato avere paura, anche se gli errori che commetteremo peseranno come macigni. E' il destino dei difensori centrali.
Appena prima di entrare in campo, stringiamo forte i pugni.
Possiamo contare sulla squadra, ma in quel preciso momento siamo soli a cercare di annientare i nostri timori più profondi. Proviamo a ricacciare tutti i dubbi nell’angolo più lontano della mente.
Il primo contrasto. Continuiamo a ripeterci che dobbiamo vincere il primo contrasto.
Così i compagni avranno fiducia.
Così il mister si rasserenerà.
Così daremo il via ad un’altra battaglia.
La nostra, contro il resto del mondo. Ogni maledetta volta.

NON DIMENTICHIAMOLO MAI

In fondo in fondo, tutti noi abbiamo incominciato così. Non dimentichiamolo mai.

LA TENSIONE PREPARTITA

Avete presente quella sensazione che si prova pochi minuti prima di cominciare una partita?

Una morsa che comprime la bocca dello stomaco e che provoca un leggero malessere generale. Qualcuno la chiama tensione positiva, naturale per chi è consapevole di giocarsi tutto.

Una settimana passata a dire no alle distrazioni e 90 minuti davanti agli occhi: ecco cosa appartiene a qualsiasi giocatore di calcio. Tutto il resto svanisce dietro ad un errore, che sia un autogol sciagurato o un tiro fuori a porta vuota.

Durante gli allunghi nel riscaldamento teniamo lo sguardo fisso davanti a noi, sperando che il dolore che cresce dentro al petto ci dia tregua. Ma sappiamo tutti che non è così, sappiamo che ci trascineremo questa emozione fino ad un momento preciso. Che si stia giocando in Serie A o negli amatori non fa alcuna differenza: il fischio dell'arbitro delinea il confine tra il timore che paralizza le gambe e la voglia di polverizzare tutto ciò che incontrerà il nostro cammino.

La tensione prepartita resta impossibile da spiegare a parole, è un tuffo nelle ignote paure che si annidano dentro di noi e che ci impongono una promessa che corrisponde al giuramento di ogni calciatore innamorato: si può perdere, si può sbagliare, ma siamo obbligati a perdere e sbagliare con coraggio.

Lo dobbiamo a noi stessi.

Sono emozioni che non rivivremo mai più.

POCO PRIMA DI CHIUDERE GLI OCCHI

Poco prima di chiudere gli occhi, a tarda sera, con le gambe doloranti nel letto. Ripensi alla partita, ai momenti più esaltanti, agli errori, ai centimetri che ti hanno accompagnato alla vittoria o alla sconfitta.

Ma capita solo a me?

IL CAMPO DA CALCIO

Guarda dentro e troverai tutto ciò che conta davvero nella vita.

Troverai esultanze scatenate e poco più distante la delusione che fa sprofondare.

Troverai calzettoni sporchi di fango e ginocchia sbucciate grondanti di sangue.

Troverai mille storie che si mescolano e provano a correre insieme verso un traguardo.

E troverai racconti di chi non ce l’ha fatta.

Troverai centinaia di ricordi speciali e l’amara malinconia di chi sa che prima o poi tutto questo finirà.

Il campo da calcio. Una biblioteca sterminata di preziose emozioni senza nome, ma che tutti conosciamo alla perfezione.

COMPAGNO DI SQUADRA

Un compagno di squadra è più di un amico.

Con lui condividi la passione più grande dell’unica esistenza che il cielo ci ha concesso.

Gioie e dolori, festeggiamenti e lacrime.

Un compagno ti ha visto esultare a squarciagola e ti ha visto piangere appoggiato al muretto della doccia.

Ti ha visto raggiungere obiettivi incredibili e ti ha visto fallire miseramente.

Lo spogliatoio è la tua seconda famiglia e non c‘è niente di più bello e rassicurante.

UN PALLONE BUCATO

Ti ricordi quell'estate?

La più bella della nostra vita, quando i pensieri somigliavano a pallone bucato.

A caccia dei sogni più puri e semplici, sempre con gli stessi amici, sempre con la stessa ingenua necessità di correre sotto il sole fino al tramonto, quando il gioco non terminava con il fischio dell'arbitro ma con il pallone che smetteva di scintillare.

Volevamo conquistare il mondo partendo dal basso e, tra una rovesciata, un tiro mozzafiato e una parata sensazionale, ci siamo riusciti.

Si improvvisava tutto, ecco perché eravamo così felici.

Il cuore ci batteva forte.

Maledettamente forte.

UN MONDO FATTO DI SUDORE E SACRIFICIO

Molti vedranno cosa fai, ma non sapranno perché lo fai.

Si chiederanno quanto è bello fare gol, ma non capiranno quanto lavoro è stato necessario.

Crederanno che prima o poi verrà il momento di smettere di giocare. Ma per te non è mai stato solo un gioco.

Perché c’è tutto un mondo dietro, un mondo nascosto, un mondo fatto di sudore e sacrificio. Il tuo.

LA MAGIA DEL N.1

Che sia da n.1 o da n.12, qualora abbiate scelto di giocare tra i pali, sappiate che il vostro destino è segnato. Nessuno avrà mai un occhio di riguardo per voi. All’interno dello show del calcio, gli sguardi degli spettatori incroceranno la vostra sagoma solo nel momento in cui il pallone calciato dal fenomeno di turno comincerà ad avvicinarsi al bersaglio grosso. Gli avversari vi guarderanno come un ostacolo, un bidone da superare per esplodere l’esultanza. I vostri tifosi solo in quel preciso istante si accorgeranno di voi, di quanto è dura essere l’ultimo baluardo, una saracinesca da osannare o un inutile montagna di carne ed ossa che ha tradito le attese.

Cominciamo dalla fine: siete là, in piedi in mezzo ai pali, dopo aver solcato con gli scarpini qualche linea dentro l’area per avere dei riferimenti visivi. Roba da portieri. Vi girate ed osservate la rete, pregando di non dover vederla agitarsi dopo una sberla del pallone. Un salto per toccare la traversa, un po’ di saliva per umettare i guantoni, e via. Siete pronti, vi sentite padroni del vostro piccolo, insignificante universo chiamato area piccola. Un grido ai compagni di reparto, un braccio teso verso l’arbitro per far capire che è tutto ok, un’ultimissima occhiata verso la tribuna. Sono esattamente gli ultimi secondi di totale invulnerabilità della vostra serata. Da quel momento in avanti, l’immortalità dovrete guadagnarla. Il fischio d’inizio è un tuffo profondo negli abissi delle paure più bestiali, un tonfo sordo che risuona dalle viscere, è la voglia di essere protagonisti della partita ma contemporaneamente l’assurda necessità di trovarsi a mille chilometri dal campo per sfuggire ai mostri della serata. Non aspettate altro che un’uscita, un debole tiro, un primo pallone che stancamente si decide a rotolare verso la vostra area. Il primo contatto con il match, per far ricordare al mondo intero che esistete. Una sensazione necessaria e rassicurante come quando da bambini, prima di fare le squadre, raggiungevate di corsa la porta perché il vostro rifugio era là, la vita vera era là, lontano dai passaggi illuminanti, dallo scontro aereo, dai tackle disperati.

Il più delle volte questo ruolo non si sceglie, ma TI sceglie. L’approccio è timido, non si entra in confidenza subito con quei guantoni sempre troppo larghi e quella striscia perenne di fango che lambisce la linea. Perché subire un tiro ha un significato metafisico: è uno schiaffo che ti recapita la vita stessa. Ed è assolutamente vitale e necessario essere pronti a respingerlo con tutte le forze, sebbene il terreno melmoso che ti appiccica al suolo. L’uno contro uno, l’uscita bassa contro l’attaccante, è una sfida tra filosofie. E la guerra bisogna vincerla con i fatti, con coraggio, il coraggio di chi riesce a tuffarsi con il muso tra le gambe dell’avversario e altro non vede che una possibilità di salvezza. L’uscita alta con il pugno a pettinare le teste nella mischia, a svuotarsi il cuore di ogni timore, provando a volare oltre i propri limiti con incoscienza, nel regno che avete scelto o che forse vi ha scelto.

Abbiamo letto trattati, abbiamo assistito a conferenze e visto centinaia di filmati dei gol più belli della storia. Soffermandoci impietosamente sulle esultanze dei bomber. Fatto sta che, come sempre, le verità più belle vanno ricercate scoperchiando la botola, grattando via la vernice che le ricopre. Bisogna guardare il retro delle copertine, dietro le fotografie, in fondo al sacco. Là troveremo il concetto puro della disperazione, la consapevolezza di aver provato ed aver immancabilmente fallito. L’argine è caduto e non ha saputo contenere il destino già scritto: la palla che rotola in fondo al sacco. Perché l’estremo difensore vive per questo. Per cercare di cambiare ciò che non si può cambiare. Ma finché ci saranno bambini che si immoleranno tra i pali osservando coetanei cavalcare sulle fasce affamati di dribbling e colpi di tacco, siamo sicuri che la magia del n.1 non potrà mai estinguersi.

IL TEATRO DEI NOSTRI SOGNI

E’ il teatro dei nostri sogni.

Ogni volta scriviamo storie che ci porteremo nel cuore per tutta la vita.

Storie di vittorie, di sconfitte, di battaglie contro noi stessi. Sono i racconti che ricorderemo per sempre.

Chi non ha provato non può capire.

NEL CUORE DEL TERZINO

La fatica è la nostra condanna, ma anche il più grande riconoscimento. La linea laterale è la nostra migliore amica.

Prima di andare a dormire ripassiamo mentalmente diagonali e chiusure in scivolata, sognando la cavalcata decisiva, sempre al servizio dei compagni. Scavate nel cuore del terzino. Troverete tutto il bello del calcio.

IL BORSONE DEL DIFENSORE

C'è un universo fiero ed immortale che racconta il calcio più bello.

Scarpe a 6, maglietta da battaglia, grinta, coraggio, onore.

Perché in fondo aprire il borsone del difensore è come aprire il suo cuore.

A coloro che sostengono che tutti i giocatori preparino la partita allo stesso modo preferiamo non rispondere. Evidentemente non hanno mai frugato dentro al borsone di un difensore, per capire come ogni spazio abbia il proprio significato, come ogni indumento sia stato scelto per una precisa motivazione. E come sia decisamente diverso dal borsone del centravanti.

Troveranno il loro spazio le scarpe a 6, sporche sulla suola del fango accumulato nella precedente battaglia, con tacchetti scintillanti, alti, infiniti. Perché da lassù il mondo fa molto meno paura.

La maglietta della pelle sbiadita e stracciata in più punti, corazza imbevuta di ricordi inestimabili fatti di trattenute e gomitate, nella strenua lotta che va in scena nell’area di rigore per non subire gol e per fare capire chi comanda.

Il parastinco bucherellato, un po’ fuori moda, che odora di vita, consumato dalle scivolate e dai giri di nastro appiccicato da chissà quanto tempo.

La voglia di vincere tutti i contrasti. Tutti, soprattutto il primo. Il difensore centrale sa bene che si troverà di fronte trottolini rapidi e rognosi, oppure giganti a quattro ante, ma dovrà sempre adattare il suo gioco alle caratteristiche dell’avversario. È un ruolo di cuore, ma anche di estrema intelligenza.

La grinta. Il coraggio che dovrà essere più grande di ogni di timore. Del timore di sbagliare un anticipo, del timore di perdere la marcatura, del timore di prendere un giallo dopo 5 minuti, del timore di sbattere il muso contro il destino avverso.

C’è un universo fiero ed immortale che racconta il calcio più bello. Lo troverete aprendo il borsone del difensore, perché là dentro ci troverete la sua vita, senza bugie o giustificazioni.

Maleodorante, umida, a volte sgradevole. Ma incredibilmente vera.

LA GIORNATA NO

Rincorri l’avversario e il fiato ti abbandona.

Provi a scappare sulla fascia ma le gambe non rispondono.

Chiunque abbia giocato a calcio sa che ci sono giornate in cui il nemico non veste l’altra casacca.

La ‘giornata no’ esiste ed è il peggiore incubo che pende sulla nostra testa, prendendo forma nei secondi che precedono il fischio d’inizio. Una maledizione, un sortilegio che ti fa sentire tremendamente piccolo e fuori luogo. Svaniscono le certezze, le distanze si dilatano, il tempo sembra scorrere lentissimo. Questo è il lato oscuro del gioco più bello del mondo, una sfida a senso unico che va affrontata con il cuore che trema ma non cede, anche se siamo destinati ad uscirne sconfitti.

Forse è il tributo di dolore che il calcio pretende da tutti noi, la ricompensa per averci donato gioia e spensieratezza per tutta una vita. Una goccia di sangue per un destino da immortali.

Perché abbiamo imparato a crescere attraversando i carboni ardenti delle sconfitte più pesanti.

ESSERE EROI

Penso che si cominci ad invecchiare nel momento in cui si smette di credere alle favole. Quando cercano di spiegarti dove finisce il cielo e resti ad ascoltare, in silenzio. Quando la vita inizia a mostrarti il suo lato più oscuro. Quando il calcio diventa un comune passatempo e non più l’unica ragione della tua esistenza. Solo un gioco, nulla più.

Combattere contro l’ignoto è una pratica che andrebbe affrontata ogni giorno; ci servirebbe per capire quanto sono leggeri i limiti che ci imponiamo per chissà quale ragione. Siamo più forti di quello che pensiamo. Siamo stati abituati a frenare, a toglierci le ali ed appoggiarle nel cassetto degli “avrei potuto”, accumulando polvere e delusione. Ecco perché io sono sempre innamorato del calcio. Perché riesco ancora a trovare un significato epico nei singoli gesti che fanno parte della vita quotidiana dello spogliatoio, gesti che si impregnano di passione e forza.

I soldi non contano, la fama non conta. Quando c’è da scalare una montagna bisogna far ricorso alla voglia cannibale, simile a quella che anima i ragazzini che si infilano gli scarpini per la prima volta e volano sull'erba, tra la terra e i sassi, inseguendo pallone ed avversari, macinando chilometri senza sentire la fatica. Ci vuole coraggio e un pizzico di fortuna. Ma la fortuna non ti farà correre più veloce, non ti restituirà i litri di sudore bruciati, non ti attenderà sorridente dentro l’area di rigore. Dovrai andarla a prendere.

E questa scelta sarà la dimostrazione del giocatore e dell’uomo che vorrai essere: vincere o perdere, ma che importanza ha?

Guardarsi allo specchio e sorridere della propria dignità. Questo significa essere eroi.

LE ALI AI PIEDI

Determinare il destino della partita, azione dopo azione, corsa dopo corsa, dribbling dopo dribbling.

"Chi ha di più è obbligato a dare di più." Suona come una condanna, semplicemente è il compito di chi ha le ali ai piedi e il fuoco negli occhi.

Ti chiederanno di inventare, di immaginare, di scegliere la giocata un secondo prima dell'avversario.

Perché un secondo può fare la differenza.

Questa è la magia di chi vive sulla fascia.

Questo è il calcio.

IL PATTO MALEDETTO

Solo chi ha provato sa cosa vuol dire.

Quando il destino ti obbliga a fermarti scopri un nuovo lato di te stesso che non conoscevi.

La differenza tra lottare e mollare, tra vivere e morire. E’ tutto qui.

Questo è il patto maledetto che abbiamo stretto con il calcio. Ma io sono innamorato di te e gli innamorati non ragionano. Costretto tutti i giorni a sentirmi dire di guarire con calma, di pensare alla salute, al fatto che la vita continuerà con o senza di te. C’è un mondo che va avanti anche se tu non ci sei più, dicono. Io invece chiuso nei miei pensieri a contare i giorni, le ore che mi separano dal ritorno.

Hai spezzato i legamenti, slogato caviglie, frantumato ossa e lacerato muscoli. Ma non ti libererai di me.

IL NUMERO 10

Paura delle responsabilità?

Paura di non essere decisivo?

Paura di farsi vedere quando tutti si nascondono?

Paura di essere un punto di riferimento quando la palla comincia a bruciare e mancano pochi minuti alla fine?

Allora non potrete mai essere un n.10.

Noi numeri 10 spesso veniamo ritenuti dei privilegiati, quelli che hanno tutto.

Il fatto che nessuno sa, è che prima di tutte le belle cose, prima del venire definiti “quelli che fanno o devono fare la differenza” viene altro. Con quel numero sulle spalle, ci prendiamo una squadra intera sulle spalle, ci prendiamo la responsabilità nel caso di sconfitta, ci prendiamo tutti i demeriti di quelli che dovevano fare la differenza, e invece, anche se solo per una volta, non l’hanno fatta. Indossare la maglia numero dieci è una questione di identità. Non si può continuare a vagare per il campo come un numero qualsiasi. Hai occhi puntati e attenzioni, fiato sul collo, bisbigli nei timpani, aspettative; un’eredità schiacciante ti perseguita a ogni passaggio. Quel numero è come un indumento che non viene lavato da anni: cammina per conto suo. Tu devi riempirlo. Altrimenti continua per la sua strada, attende il prossimo e via. Su questo numero che ti si concede tu devi compiere un lavoro arduo e raffinato. Comandarlo con il tuo stile e abbandonarti a esso. Versare dentro di lui i tuoi sapori e le tue intemperanze e allo stesso tempo condurlo. Accettarlo e farti accettare. Questa è la magia del 10.
Ti definiscono il migliore, il più forte, e probabilmente è anche vero, ma proprio per questo nessuno ti aiuterà a rialzarti quando cadrai, nessuno troverà scuse per i tuoi fallimenti, sarà sempre il 10 ad essere accusato per primo di aver deluso, di non avere rispettato le grandi aspettative che si nutrivano verso di lui. Criticati quando le cose vanno male, abbiamo imparato a leccarci da soli le ferite, perché è vero che il gruppo è tutto, ma c’è chi viene aiutato di più e chi di meno, nel calcio come nella vita, ma va bene così, è il prezzo che abbiamo scelto di pagare. Forse non recupereremo palloni e capiterà a volte che non avremo fiato per aiutare i compagni in difesa. Ma giochiamo un altro sport, lo sport dei numeri 10, il calcio.

ONORARE LA FASCIA

Ci sono giornate in cui siamo pronti a tutto, partite che affrontiamo con la consapevolezza di essere praticamente invincibili. Ci ricordiamo perfettamente la sensazione piacevole di onnipotenza, siamo invulnerabili agli occhi dell’avversario.

E poi ci sono momenti in cui vorremmo gettare la spugna e diventare invisibili. Sbagliamo passaggi, perdiamo marcature, facciamo fatica a respirare. La vista si annebbia, le gambe tremano ogni volta che abbiamo il pallone tra i piedi e ci sentiamo confusi e spaesati. In quel preciso istante benediciamo il nostro compagno con la pezza legata al braccio. Il nostro capitano.

Ha un segreto che non può rivelare. Nei suoi occhi vive una luce diversa, meravigliosamente unica, che prende le distanze dalle banali insicurezze che ci assalgono quando le cose non vanno. Ha sempre la forza di prenderci per un braccio e risollevarci, di tirarci fuori dal fango in cui siamo sprofondati. Si perde e si vince, ma è obbligatorio perdere e vincere tutti insieme.

Essere capitano è la più dolce responsabilità del gioco del calcio. Non è un compito facile, non è roba per tutti.

Ma se saprete onorare la fascia, i vostri compagni vi ricorderanno per sempre.

Perché il capitano sarà il capitano per tutta la vita.

IL DESTINO DEL NUMERO NOVE

Si comincia sempre da lì. Dai 15 minuti prima del match.

Finisce il riscaldamento e si rientra tutti insieme negli spogliatoi, per cercare di chiuderci a riccio e lasciare fuori tutto il resto. Le sensazioni sono elettriche, impossibile stabilire se siano buone o avverse, ormai sono anni che vivo queste emozioni senza riuscire a decifrarle.

C’è il mio compagno più teso che si allontana nella sala della doccia, stira i muscoli ad occhi chiusi e ripensa agli schemi, ai movimenti provati e riprovati, mette insieme tutta la forza che raccoglie dagli angoli più lontani del proprio fisico e della propria mente per scagliarla contro l’avversario.

C’è il guerriero di centrocampo che si sciacqua la faccia con l’acqua gelata, e poco importa se fuori fa ancora un maledetto freddo, di quelli che penetrano sotto la maglietta umida e pinzano i fianchi. Si allaccia con vigore gli scarpini, lega ben stretti i parastinchi e butta fuori l’aria dai polmoni con un respiro profondo. Oggi è un bel giorno per soffrire.

E poi ci sono io. Guardo e riguardo la mia n.9 prima di indossarla. Pulita, candida, semplicemente bellissima. Chissà se anche oggi si sporcherà di sangue. Sicuramente si sporcherà di terra. La infilo e osservo il mio volto allo specchio, passandomi una mano tra i capelli. Oggi si combatte tutti insieme, ma arriverà il momento in cui i miei compagni mi chiederanno di risolverla, di dare un senso ai litri di sudore versati.

In quell’istante, sarò da solo. Se andrà bene verranno tutti ad abbracciarmi. Se andrà storta, partirà qualche maledizione. Questo è il destino che ho scelto, il destino del n.9.

I PANNI DI UN SUPEREROE

Fare il portiere non significa ricoprire un ruolo durante una partita di calcio. Vuol dire indossare i panni di un supereroe per tutta la vita, vuol dire affogare nei propri pensieri per infiniti minuti mentre i compagni sfogano la rabbia correndo come matti e svuotandosi i polmoni di tutte le maledizioni.

Sotto la pioggia, coperti di fango o riscaldati dal sole. Saremo sempre soli.

Ma fieri di noi stessi.

Siamo troppo impegnati a ricercare la bellezza a tutti i costi, spesso sacrificando la vera motivazione che ci spinge a continuare ad inseguire il nostro obiettivo, a testa bassa. Siamo circondati da persone che ci indicano la cima della montagna da scalare, ma spesso queste persone sono le prime a non essersi mai sporcate le mani. Parlano, parlano e basta. Il fatto è che noi siamo nati diversi e la nostra mente funziona al contrario.

Vediamo una pozzanghera e scatta una scintilla che non ha nome. Prendiamo la rincorsa e ci lanciamo nel fango a pancia sotto, spazzando via tutte le sensazioni che imbruttiscono questo mondo: via la paura, via la vergogna. Amiamo giocare e amiamo prenderci un po’ in giro. Non importa l’età, il portiere sarà sempre considerato uno squilibrato. 15 anni, 30 anni, 50. Sono solo numeri. Quello che conta davvero ce lo portiamo in eterno tatuato non solo sulla schiena, ma sotto la pelle. Il n.1

Perché fare il portiere non significa ricoprire un ruolo durante una partita di calcio. Vuol dire indossare i panni di un supereroe per tutta la vita, vuol dire affogare nei propri pensieri per infiniti minuti mentre i compagni sfogano rabbia correndo come matti e svuotandosi i polmoni di tutte le maledizioni. Noi portieri non possiamo permetterci questo lusso. Dobbiamo osservare ed accumulare. Gli occhi fissi sul pallone, sempre, provando a calamitare l’intero universo nelle nostre mani. Il fiato che si gonfia e quasi ci fa esplodere il petto, fino al momento in cui decidiamo di gettarci nella mischia, volando più in alto di tutti. Uno contro uno, a muso duro contro l’attaccante lanciato a rete. Un bacio ai guanti e uno ai pali. Vivere non è mai stato così bello.

RESPIRIAMO CALCIO

Lasciate perdere le luci dei riflettori che illuminano campi verdissimi, scintillanti.

Noi abbiamo la forza di giocare ovunque.

Continuate a sognare il pubblico delle grandi occasioni per caricarvi di adrenalina.

Noi sappiamo accenderci con le solite quattro persone che urlano il nostro nome.

Rinunciate alle divise immacolate.

Noi indossiamo la vecchia maglietta portafortuna che non ci abbandonerà mai.

Dimenticate gli integratori all’ultima moda, le diete equilibrate e le terapie di recupero.

Noi viviamo di pasta in bianco, bresaola, caffè e un goccio di grappa per scaldarci il cuore. Una borraccia per sciacquare via il sangue che scorre dalle ginocchia. E basta.

Abbiamo storie di campo da raccontare, storie vere, di quelle che penetrano sotto la pelle e determinano il nostro carattere. Quello che ci temprerà per tutta la vita e che saprà dirci chi siamo e dove vogliamo arrivare. Noi respiriamo calcio, è la ragione per cui siamo venuti al mondo. Non è un gioco, davvero non può esserlo.

Dal Paradiso all’Inferno, andata e ritorno, per l’eternità. Questo è il patto che abbiamo stretto.

Fa male, ma noi siamo forti, indistruttibili.

Praticamente immortali.

ESSERE I MIGLIORI

Ieri sera ho vinto il primo trofeo della mia vita e sono stato letteralmente devastato dalle emozioni. Avete presente quando siete seduti ad aspettare il treno in stazione e, senza preavviso, sfreccia davanti ai vostri occhi l'accelerato delle 19.42? I vostri occhi restano fissi a sfidare il vento, mentre piccoli pezzi di mondo corrono là di fronte. Mentre le mani si aggrappano forti alla panchina, la mente comincia a scavare tra le fotografie dei vostri ricordi. Succede tutto in pochi secondi, senza motivo.

Allo stesso modo, quando l'arbitro ha fischiato la fine della partita, mi sono trovato ad affrontare il libro del mio passato. Fotogrammi inzuppati di dolore e sacrifici, corse tra il fango con gli scarpini che sollevano schizzi pesanti quanto macigni. E poi le sconfitte all'ultimo minuto, le ripetute intorno al campo d'allenamento, i rimproveri della notte scagliati contro te stesso, le caviglie che scricchiolano, il silenzio della delusione prima di fare la doccia. In un istante, tutto spazzato via.

Quello è stato il momento in cui ho capito perché lo faccio, perché tutti noi lo facciamo. Abbiamo un desiderio da esaudire. Essere i migliori, rovesciarci per terra con i nostri compagni mentre abbozziamo un sorriso, pensare davvero di avercela fatta, raggiungere la vetta di ciò che ci è stato concesso.

Sì, ieri ho vinto, e questa vittoria non potrà togliermela mai nessuno.

UN ETERNO UNO CONTRO UNO

I ruoli, nel calcio, non si scelgono.
Sono loro che scelgono te.
Succede un giorno, solitamente per caso: il mister ti dice “Oggi voglio provarti esterno”. Tu ci provi per davvero e in quel posto ci passi una vita.
È capitato tutto in un attimo, come una scarica elettrica: mi sono buttato nella mischia, veloce come il vento. Ne ho saltato uno, poi un altro e un altro ancora dietro di lui. Era come se avessi scoperto di saper pattinare sull’erba, con la palla appiccicata alle scarpe. Un ballerino della Scala in mezzo agli elefanti.
Da quel giorno, vivo la vita come un eterno uno–contro–uno e tengo qualcosa che rotola tra i piedi più che posso. Prendo a calci lattine per strada, mi alleno a dribblare il cane, le sedie, i vasi di mia madre. Se vado a ballare, è solo per provare un doppio passo in mezzo ad una selva di gambe. Non c’è nulla da fare, vivo per il dribbling, per la botta d’adrenalina di un elastico che lascia il terzino imbalsamato a prendermi la targa, per un tunnel a quel cinghiale che ha provato a pestarmi tutta la partita e non mi ha preso mai.
Su quella fascia ho scoperto una metafora dell’esistenza. Dribblando i miei marcatori ho imparato che la vita va affrontata con coraggio, sempre a testa alta, anche se al lunedì mattina ti tocca svegliarti zoppo, con le cicatrici sulle tibie. E che anche quando ti marca stretto, troverai sempre la forza di lasciarla lì, a guardarti scappare verso la porta con la palla nei piedi e il sorriso sulle labbra.

UN BRIVIDO CHE CORRE LUNGO LA FASCIA

Ci sono storie fantastiche che nascono così. Defilate, senza regole. Perché a volte per essere al centro dell’attenzione non occorre vivere dove gli occhi della gente cadono più spesso. C’è un intero universo di emozioni che brilla di luce propria, lontano dai riflettori, seguendo un brivido che corre lungo la fascia. Quanta poesia da raccontare c’è dietro ad un cross pennellato, ad una diagonale puntuale, ad una rincorsa per recuperare il pallone scivolato oltre la linea laterale. Proprio in quel momento il cuore del terzino si ferma, capace di congelare l’attimo e riporlo nell’angolo più riparato che ci sia, per ripescarlo nei ricordi poco prima di addormentarsi mentre con la mente si ripercorrono le fasi della partita appena conclusa.

Vivere sulla fascia significa osservare il mondo da un’altra prospettiva. Significa vestire il talento con la corazza del sacrificio e non smettere mai di crederci. Vuol dire contemplare il campo con estro e volontà, perché ci sarà sempre una fascia da divorare e una da difendere.

Il terzino non gioca semplicemente a calcio, racconta come andrebbe vissuta la nostra esistenza: il momento per incassare, il momento per colpire. Con la stessa fame di vincere.

CAMPIONI REGIONALI - 2016/2017

Quarto rigore della serie. Decisivo.

Sul dischetto c'è Simone Agnesini.

Agne non ha paura lo so. Non può aver paura.

Vedo dalla panchina alcuni compagni che già festeggiano, lui ha il dovere di tenere i nervi saldi.

La mente corre veloce.

Tutto quanto intorno resta fastidiosamente immobile.

Un respiro profondo, pochi passi di rincorsa. Il cuore, per un attimo, si ferma. GOL.

Poi ci sono cinque o sei secondi in cui tutto smette di esistere. Cinque o sei secondi durante i quali la mente corre velocissima, molto di più delle nostre gambe. Cinque o sei secondi che vorremmo si estendessero all’infinito, perché là dentro noi siamo immortali. E via le ansie, via le paure, via tutto il marcio, il brutto, il rancido di questo mondo. Ci sono le nostre braccia affamate di abbracci e nulla più. 

Forse non trovo le parole adatte, forse ciò che provo a descrivere è dannatamente più grande di noi.

Ma dentro quell’abbraccio il mondo fa meno paura.

Mi passano davanti agli occhi le 4 finali perse in questi 5 anni. Il ricordo del dolore che ti affetta le ginocchia e non ti fa più camminare, il suono assordante degli avversari che esultano e quel senso di vuoto che ti lascia la delusione di un fallimento sportivo, di un mancato obiettivo che è stato cercato, voluto, desiderato.

E sono giunto alla conclusione che le sconfitte alla fine portano lontano. Provate a scagliare una freccia senza tendere la corda dell'arco. Resta lì. Tirate la corda indietro, invece. Più indietro sarà, più lontano andrà la freccia. La stessa cosa accade per le persone: andare indietro è la spinta più efficace verso un bersaglio distante. Gli insuccessi degli anni scorsi sono stata l'esperienza più fortificante della nostra carriera.

Io ero consapevole dell'esperienza unica che stavo vivendo ed ero altrettanto sicuro che avrebbe rappresentato le solide fondamenta su cui avremmo costruito alti successi personali e di gruppo. C'è voluto il tempo necessario, però. Ci vuole pazienza ma alla fine abbiamo scoperto che la prova, per quanto dura, è stata la nostra fortuna. L'afflizione produce pazienza e la pazienza produce esperienza. L'esperienza è la corda con cui la freccia della nostra speranza arriva tanto lontano quanto più è stata tirata indietro.

Ricordatelo sempre, in campo e nella vita. Se assaggerete la sconfitta, non scappate. Insistete, sudate, lottate. Attraversate tutta la stagione e arriverete ad alzare la coppa.

Orgoglioso di essere campione regionale ma soprattutto orgoglioso di voi, fantastico gruppo di persone. 

Il mister

DOMINA LA PARTITA

Il calcio è fatto di attimi, e come calciatore vieni giudicato per quello che fai in quegli attimi.
L’intensità con cui ti alleni, la serietà nel riscaldamento, i rituali pre–partita.
L’atteggiamento che hai nel costruire il tuo gioco ti definisce come leader o come semplice giocatore di pallone. Come titolare imprescindibile o come gregario. Come compagno per il quale sputare l’anima, o come comparsa.Come capitano.
Ci sono momenti in cui migliorerai, altri in cui imparerai, altri ancora in cui sarà necessario confrontarsi duramente per crescere come squadra.
Ci saranno volte in cui sbaglierai e saranno quelle che ti forgeranno il carattere.

Il fatto è che non importa quanti saranno questi momenti e cosa si lasceranno alle spalle, perché se darai sempre il massimo non solo eccellerai nel gioco; semplicemente lo dominerai.
Avanti, allora. Indossa i parastinchi e stringi forte il nastro attorno ai calzettoni. Uno sguardo, una pacca sulla spalla al tuo compagno più nervoso che sospira forte.
Un ultimo urlo. Sei pronto ad uscire, è il tuo momento.

Domina la partita.

FINCHE' AVRAI FIATO

Ti troverai da solo ad affrontare la tua paura più grande. La paura di non poter più giocare a calcio.

Ti fermerai a ripensare alle emozioni che hai saputo regalarti con fatica e sudore.

Per tutti i centimetri di campo conquistati combattendo, per i graffi insanguinati sulle gambe, per le ginocchia saltate e i legamenti lacerati.

Per tutto questo, finché avrai fiato, non smettere di lottare.

LA MIA OCCASIONE ARRIVERA'

Fa male stare fuori.

Soprattutto quando la maglia che indossiamo ci appartiene come fosse la nostra seconda pelle, e il numero che abbiamo scelto ha un significato profondo.

Seduto a bordo campo vedo sfilare sotto gli occhi tutto ciò per cui ho combattuto in settimana. Sto male perché svanisce tra le mani la possibilità di dimostrare a me stesso che ho molto da dare.

Una sensazione tremenda, qualsiasi campo, qualsiasi torneo, qualsiasi categoria.

La cosa che più conta è il rettangolo di gioco. E’ quel rettangolo che ogni partita sogno di calpestare da protagonista. Quella voglia di fare, quella fame di gioco, che immancabilmente viene a mancare pochi minuti prima del fischio di inizio. Oggi non si gioca. A quel punto mi cade tutto il mondo addosso, mi siedo in panchina e non parlo con nessuno. Ma appena arriva il fischio d’inizio ed i miei amici iniziano a sudare per la stessa maglia che vorrei bagnare io, lancio anche il mio cuore in quel rettangolo, lo catapulto nella mischia che avrei voluto affrontare. E mi sento nel miglior posto del mondo.

La mia occasione arriverà.

Curerò i dettagli, non trascurerò le piccole cose.

Accarezzo la sfera, è mia amica, la bacio e la abbraccio ogni volta che posso.

So già che mi regalerà l’emozione più grande.

ARRIVERA' IL GIORNO

Arriverà il giorno in cui smetterò di crederci fino in fondo.

Arriverà il giorno in cui mi alzerò dal letto trascinando stancamente le mie gambe da una stanza all’altra, senza più voglia di accelerare il passo per far scivolare via il dolore.

Arriverà il giorno in cui non troverò più il senso a tutto questo, alle migliaia di ore regalate ad un sogno avaro di soddisfazioni e gonfio di delusioni, portatore sano di tagli sulle gambe e squarci sul cuore.

Arriverà il giorno e mi sorprenderà un turbine di emozioni mai provate, mi svuoterà dall’interno, portandosi via anni di ricordi indelebili con la spietata forza del mostro delle favole.

Arriverà quel giorno. Ma non oggi. Oggi ho voglia di alzarmi e combattere.

IL PALLONE E LA' IN FONDO UNA PORTA. TUTTO QUI.

Ci vuole del coraggio a chiamarci "dilettanti".

Se non esistessimo, non ci sarebbe altro sopra di noi. Siamo la linfa vitale, siamo la sostanza dentro l'apparenza. Abbiamo imparato che non bisogna mai giudicare l'aspetto esteriore delle cose. Se un uomo bellissimo ha il cuore marcio, muore. Ecco, noi siamo il cuore del calcio.

Ci troverete sempre là. A rincorrere un pallone impossibile, destinato a finire in fallo laterale. Ci abbiamo sempre creduto, fino in fondo. Noi siamo i tagli insanguinati sulle cosce sotto i pantaloncini, quelli che bruciano sotto la doccia e che fanno bestemmiare il giorno dopo. Siamo le lacrime nello spogliatoio, siamo le feste interminabili che cominciano quando l'arbitro fischia la fine e realizziamo di avere vinto la nostra piccola, grande battaglia. Siamo il peso del borsone dopo la sconfitta. Siamo la doccia calda dopo le ripetute nel fango, l'acqua fresca dopo gli scatti sotto il sole. Siamo i silenzi ansiosi in attesa dell'appello dell'arbitro. Siamo le urla del mister, quello che non ci capirà mai abbastanza. Siamo la pasta in bianco prima della partita, il caffè che alleggerisce il cuore mentre siamo assorti nei nostri pensieri e non vediamo l'ora di giocare. Per noi vincere è un regalo del cielo, fatto di sudore, allenamenti, risate e pochi applausi. Siamo tutto ciò che è puro e semplice.

Quel batticuore per un gol segnato, quello che accelera nel petto fin quasi a scoppiare, l'adrenalina per un salvataggio decisivo, il grido di esultanza, le pacche sulle spalle dei compagni, la stretta di mano a chi esce sconfitto. Perché noi sappiamo che l'avversario ha un solo grande torto: non indossare la nostra stessa maglia. Sappiamo cosa è giusto e cosa è sbagliato, cosa è leale e cosa è vigliacco. Adoriamo il suono dei tacchetti che rimbomba sul corridoio prima di entrare in campo. Respiriamo a pieni polmoni l'odore dell'erba appena tagliata, e buttiamo giù. Abbiamo una memoria formidabile. Ricordiamo alla perfezione tutte le partite che ci hanno formato, che ci hanno reso le persone che siamo. Viviamo per i compagni, perché sappiamo con certezza che i compagni hanno sempre vissuto per noi e sempre lo faranno. Niente contratti da capogiro, niente ville da mille e una notte, niente premi milionari. C'è il pallone e là in fondo una porta. Tutto qui.

Abbiamo storie meravigliose da raccontare, ma molte volte desideriamo tenerle per noi perché sono dannatamente preziose.

E' ARRIVATO IL MOMENTO

È arrivato il grande giorno, domani sarà La Partita.

Fatico a prendere sonno, ma non sento la stanchezza.

Tante cose mi passano per la testa, adesso.

Posso già ascoltare i ragazzi, su in tribuna, cantare per noi proprio ora che ne abbiamo bisogno.

Posso sentire il profumo dell'erba tagliata e la terra affondare sotto i tacchetti delle mie scarpe.

Posso vedere mio padre, con il suo immancabile sigaro in mano.

Posso già vedere le vostre facce, incrociare i vostri sguardi; i miei brividi sono i vostri brividi.

Lo stomaco si stringe, mentre immagino il modo in cui ognuno di voi mi abbraccerà prima della partita.

Perché ormai vi conosco, uno per uno.

E so che, a modo vostro, siete tutti pronti per combattere.

Occasioni come questa, per qualcuno, capitano una sola volta nella vita.

È arrivato il momento di prenderci il nostro sogno.

È arrivato il nostro tempo.

ALLORA E' DAVVERO FINITA?

Allora è davvero finita?

Se mi guardo indietro vi rivedo tutti lì, accanto a me, partita dopo partita, uniti ad inseguire lo stesso sogno.

Non potrò mai dimenticare come tutto ha avuto inizio.

Il caldo infernale, le ripetute sui mille, le salite; ma anche le cene assieme, gli scherzi nello spogliatoio, le cene al Roba col mister davanti ad un bicchiere di Sambuca.

Sono tutte cose che porterò dentro per sempre e che ricorderò col sorriso ed un velo di malinconia.

Per me siete stati più che compagni di squadra, siete stati una famiglia, e anche adesso che è arrivato il momento di salutarci, vi voglio ringraziare.

Anche oggi, a stagione conclusa, vedo ancora in voi la stessa passione del primo giorno e di questo non posso che esserne grato.

Mi avete dato un motivo per dare il meglio di me, anche nei momenti peggiori.

Siete grandi, siete la mia squadra.

IL VALORE DELLA MAGLIA

Il valore della maglia per un sutura, è la sua pelle, è il simbolo che lo unisce a tutti gli altri che la indossano e che li fa diventare una squadra.

Indossare questa maglia è un onore ed anche un onere.

Questa maglia va onorata impegnandosi al massimo, sudandoci dentro, spendendoci l'anima dentro, sacrificandosi per i compagni, lottando con i compagni, sostenendoli, facendo tutto quanto è nelle nostre possibilità per arrivare alla vittoria.

Sulla nostra maglia non ci sono scritti nomi ma solo dei numeri: il nome non c'è mai scritto perché la maglia che indossiamo non è nostra, prima di noi l'ha indossata qualcun'altro, che ci ha lottato, sudato, l'ha onorata con tutte le sue forze e dopo di noi la indosserà qualcun'altro che ci lotterà, suderà, e la onorerà con tutte le sue forze. Oggi che noi la indossiamo dobbiamo farle onore come quelli prima di noi e quelli dopo di noi.

Da oggi e per tutto il prossimo anno calcistico, sulle nostre maglie ci sarà uno scudetto in più, quello che ci identifica come campioni dell’Emilia Romagna: il nostro ONORE e il nostro ONERE perciò saranno doppi, poiché essendo i primi ad indossarla saremo quelli che in futuro verranno presi come termine di paragone per continuare ad onorarla.

Lotta, corri, suda...onora la maglia... Fino alla fine…ogni partita una battaglia.

LA MAGLIA DENTRO LA PELLE

Quando finisce una storia, cala il sipario e tutto intorno si dipinge di nero. Domande taglienti cominciano ad affollarsi nella mente, problemi ai quali non avevamo mai pensato, sui quali non ci eravamo soffermati. È servito a qualcosa? Tra cento anni ci sarà qualcuno che si ricorderà di me?

Tra le migliaia di ore spese a rendere il calcio un mondo migliore, ricorderemo sempre i momenti più duri. Sentiremo bruciare i muscoli e i polmoni, quella tremenda sensazione che ci trascina a terra, che ci costringe a fare i conti con la fatica. Ma il calcio è sempre stato il posto in cui rifugiarsi e dimenticare. Il luogo in cui la sofferenza è purificazione, in cui il talento vive appena al di là dei sogni più complicati e la forza è il pane quotidiano. Abbiamo ricordi meravigliosi da condividere con i nostri compagni di battaglia, e li abbiamo tatuati sul cuore. Proprio là dove nessuno può vederli e giudicarli con la superficialità che ci ha sempre infastidito.

Amiamo la maglia perché quando ci osserviamo di sfuggita allo specchio prima di entrare in campo ci sentiamo parte di essa. Avete presente quel leggero formicolio che si sente appena la indossiamo? Ho sempre creduto che fosse dovuto allo schifoso tessutaccio sintetico. Invece no. È la maglia che chiede di legarsi per sempre alla tua pelle. Se non lo farai, sarà in grado di punirti. Ti lascerà addosso quel profumo che rimpiangerai quando non sarai più in grado di correre e di vivere le emozioni che ti hanno segnato. Ti farà lacrimare se si sentirà tradita. Ma se lo vorrai, sarà tua per sempre.

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